Virtualmente Tua

I fatti che racconterò in questa storia sono iniziati e proseguiti durante e dopo il primo lockdown dovuto al Corona virus della primavera 2020 per terminare all’incirca verso la fine di Agosto dello stesso anno. Essi sono il frutto della mia esperienza diretta e personale, cambierò naturalmente il nome, la provenienza dell’altro protagonista della storia, nonché, ovviamente, ometterò tutti i dettagli sensibili per il rispetto della sua privacy.


Virtualmente tua

Tutti, in futuro, si ricorderanno inevitabilmente a lungo di questo anno 2020 per via della enorme crisi mondiale dovuta all’avvento e alla diffusione del Corona virus. Io non ho particolarmente sofferto di solitudine e di isolamento durante il lockdown, vista la mia natura già tendente a questi due stadi, anzi, per me rimanere per un periodo lontana da tutto e tutti, impegni e aspettative sociali, lavoro e quel minimo di mondanità che mi permette di rimanere ancorata alla vita della grande città, è stato di grande ispirazione. Ho avuto anche la fortuna di continuare a fare saltuariamente il mio lavoro, naturalmente in quantità molto minore rispetto alla possibilità di fare sessioni in Studio, grazie ad alcuni clienti che mi hanno contattata per delle sessioni online. E dire che non offrivo sessioni video, ma solo chat e voce. Non mi ha minimamente spaventata l’idea di dover condurre sessioni soltanto scritte o parlate, anzi, ammetto che l’ho presa come una sfida, e devo dire che mi sento pienamente soddisfatta di come sono sviluppati poi gli incontri virtuali. I clienti che si sono avvicendati all’altra parte del filo sono stati diversi,  qualcuno si è affacciato per una chiacchierata, qualcun altro è arrivato a vestirsi di Latex ed usare un plug anale mandandomi le foto di quello che stava facendo, un altro ha voluto origliare mentre andavo in bagno masturbandosi, ma uno tra tutti si è distinto per la sua particolare presenza e personalità. C’è da dire che si trattava di un uomo di nazionalità italiana e che la cosa ha favorito il sorgere di un certo tipo di dialogo, permettendo sia a lui che a me di arricchire l’esperienza con molte sfumature e coloriture linguistiche. All’inizio partimmo con delle chiacchierate via chat della durata base di  un’ora, durante le quali sondammo alcuni argomenti generici, parlando di come questa persona avesse, al momento, una predilezione per gli uomini, definendosi però bisex. Ma non solo, ci tenne a precisare che era anche switch ma che questa cosa funzionava solo con le donne, mentre nelle sue fantasie bisessuali, amava particolarmente sottomettersi, o avrebbe voluto sottomettersi, a degli uomini che immaginava rozzi, grezzi, più grandi di lui ed in pessime condizioni per quanto riguarda la cura di sé.  Aveva una manciata di anni più di me e l’età preferita dei personaggi delle sue fantasie era attorno ai 70 anni, più o meno, quindi molto più grandi di lui. Di solito, gli uomini che si presentano da me con delle fantasie verso altri uomini non hanno una vera e propria predilezione rispetto a delle fasce di età, è più una fallo-mania quella che perseguono, e spesso, sapendo di non essere pronti a ricevere il membro maschile nel proprio ano, mi chiedono, con l’ausilio di dildi e strap-on, di aiutarli ad aprire il passaggio, a renderlo agevole per l’eventuale ingresso, appunto, del fallo. Così, mentre nelle prime sessioni si parlava di questo desiderio di sottomissione verso altri uomini, la prima strada che presi, nel consigliargli cosa fare nei momenti in cui non ci sentivamo, era di comprarsi una serie di plugs anali e di iniziare una ginnastica preparatoria da sé, visto che io non potevo essere presente sul posto e di notificarmi a proposito dei progressi. Capii poco dopo che non era questo che cercava, quest’uomo che chiamerò Marco, ma la sua era più una volontà di sottomettersi a questi uomini grezzi per dargli piacere orale, per gratificarli, per farsi usare come un oggetto del piacere, annullandosi completamente di fronte a loro. inginocchiandosi al loro cospetto. Mi raccontò di alcune esperienze che aveva già avuto nell’ultimo paio di anni, più precisamente in alcuni parcheggi del paese di provincia dove viveva, dove non si inginocchiava letteralmente di fronte ad altri uomini ma saliva nelle loro macchine dal lato del passeggero, e senza neanche scambiare parola alcuna, si chinava a slacciare ed aprire la patta dei pantaloni dell’altro, ove questa non lo fosse ancora e a praticare del sesso orale a questi signori sconosciuti. Mi raccontò di come si sentiva attratto da queste avventure, di come ne andava avidamente a caccia e del tipo di uomini che aveva gratificato fino ad allora, nonché mi mise al corrente a proposito delle dimensioni e condizioni dei peni che aveva, fino a quel momento, accolto nella sua bocca. Si trattava spesso di membri maschili non eccessivamente prestanti, a volte privi anche di erezione e slancio, mi raccontò del desiderio di ricevere in bocca o sul viso lo sperma, e di come si fosse impegnato a rendere quei peni flaccidi turgidi abbastanza per la fuoriuscita successiva del liquido seminale. Si vantava di essere bravo nel farlo, e dalle descrizioni che mi faceva, io ci credevo. Fantasticammo anche su alcuni uomini che conosceva nella vita reale e di come, nella sua mente, se li immaginava in posizioni di potere rispetto a lui, che lo facevano inginocchiare e che gli porgevano il loro membro da suggere mentre non lo degnavano neanche di uno sguardo, creammo scenari nei quali lui era nudo a terra in posti squallidi, sporchi, dove avrebbe dovuto strisciare a terra per raggiungere uno o più uomini ai quali avrebbe dovuto dare piacere, ai quali avrebbe dato il proprio corpo affinché essi potessero goderne. Mi raccontò di aver avuto anche un’esperienza anomala una volta con un ragazzo abbastanza giovane, che gli aveva fatto provare all’inizio vergogna ma che poi avrebbe voluto ripetere, esperienza provata durante un viaggio in uno di quei sexy shop con le cabine per i film porno e di come, sempre in uno di questi ambienti, gli fosse capitato di gratificare un ex comandante dell’esercito, che, in quando a dargli ordini e mantenere la freddezza, sembrava essere stato davvero bravo. Insomma, le nostre sessioni andarono avanti in questo modo per un po’ di tempo, intensificandosi pian piano nella frequenza. Nel frattempo avevamo anche cominciato a sentirci a voce, e ci sentivamo, o scrivevamo, anche due, tre volte a settimana, a volte anche due volte nello stesso giorno, sempre con ricchezza di temi affrontati, molta fantasia ed una certa dose di gratificazione soprattutto mentale. Ci fu soltanto una pausa ad un certo punto di un paio di settimane, durante la quale Marco sparì nel nulla, senza né avvertirmi del fatto che non ci saremmo sentiti né avvisarmi di quando, e se, avremmo ripreso le sessioni. Ricomparve invece ad un certo punto, e da lì in poi le nostre chiacchierate si intensificarono maggiormente. Mi chiamava anche dall’ufficio, visto che aveva ripreso a lavorare nonostante il lockdown, mi chiamava dalla macchina parcheggiata in una qualche strada del paese dove abitava mentre andava a comprare qualcosa al supermercato, sempre parlandomi delle sue fantasie sessuali ma ad un certo punto cominciò anche a parlarmi di alcuni episodi della sua vita privata. Mi raccontò alcuni accadimenti della sua storia familiare, del fatto che aveva da poco perso l’ultimo genitore che gli era rimasto a causa di una grave malattia, col quale non aveva avuto mai un buon rapporto e che forse, visto il periodo duro che aveva vissuto recentemente a proposito di questa disgrazia, si era sentito portato a cercare quel tipo di esperienze sessuali degradanti dove si annullava completamente, dove erano gli altri a decidere per lui, dove si lasciava usare dando via il controllo che sapeva di aver dovuto mantenere per molto tempo, grazie anche, comunque, alla sua personalità incline al comando, nella vita di tutti i giorni. Mi parlò dei suoi due figli, ancora non grandi, del fatto che al momento era single e di come facesse fatica ad immaginarsi di nuovo in una relazione, visto che l’ultima avuta risaliva a qualche anno fa e non voleva di nuovo andare incontro a tutta quella serie di compromessi che in un modo o nell’altro, a volte capita di dover fare in questi casi, preferendo dover decidere solo per sé. Mi disse che non voleva più accontentarsi di qualcosa che non gli andava bene, e tutte le donne che aveva frequentato dopo essersi lasciato con la compagna, erano donne già impegnate, sposate, che non avrebbero potuto pretendere nulla da lui o mettersi più di tanto in gioco, anche se, mi disse, alcune di loro ad un certo punto, cominciavano ad avanzare qualche pretesa, pur non essendo libere. Che lui rifiutava, ovviamente, preferendo rimanere distaccato e vivere la sua vita, già, a quanto pare, abbastanza piena di cose da fare. Io lo ascoltavo, e lui mi ringraziava perché si trovava bene a parlare con me, lo faceva spesso, mi diceva che era importante che se qualcosa era bello bisognava dirlo, gratificarlo, renderli omaggio. Spesso questo mi accade, essendo, di base, più incline all’ascolto che al parlare. – “Ad maiora” – , risposi io ad un certo punto, quasi imbarazzata da tanta enfasi. Continuammo così per qualche tempo, con lui che ancora mi raccontava le sue fantasie ed io che gli creavo degli scenari a parole, portandolo, e lui facendosi portare, ad immaginarsi in quelle scene. Ammise ad un certo punto che sapeva, mentre ricercava quelle situazioni nei parcheggi o ad un certo punto in un parco vicino al paese dove abitava, frequentato da uomini in cerca di avventure omosessuali, di essere lui, sebbene nella posizione da sottomesso, a dominare dal basso quegli uomini, a ricercare le loro attenzioni, ad adescarli e ad invogliarli a consumare quegli atti, ed io non feci alcuna fatica a crederci, anzi, era qualcosa della quale mi ero già accorta da tempo, come sapevo che prima o poi, quell’inclinazione switch di cui parlava all’inizio, si sarebbe potuta affacciare in qualche modo. Ma durante le nostre chiacchierate il tema del mondo femminile non era venuto poi così tanto a galla, anzi, l’unico personaggio di cui si era parlato qualche volta era la madre, e raramente l’ex compagna. Ricordo che accennai vagamente la cosa un paio di volte, se non ricordo male, domandandogli se in una ipotetica sessione che avremmo potuto avere in futuro sarebbe stato in grado anche di soddisfarmi, oltre che soddisfare il sempre ipotetico uomo grezzo che sarebbe stato presente per farsi praticare una fellatio di fronte ai miei occhi. Rispose, ovviamente, che si sarebbe senza dubbio prodigato per gratificarmi, ma è una cosa generica che tutte le persone che vengono per delle sessioni da sottomessi dicono, è quasi una frase da manuale, per cui non gli diedi molto peso. Una sera di inizio estate, dalle 22:00 in poi, ci trovammo a parlare, come pattuito, per un’ora, alla fine della quale mi chiese, visto che s’era aperto un canale di comunicazione personale molto ampio, se fosse stato possibile continuare. Risposi che si, naturalmente sarebbe stato possibile, ed andammo avanti, inaspettatamente, per quattro ore, che, sebbene possano sembrare una quantità enorme di tempo da passare al telefono con qualcuno, in quell’occasione volarono via in un attimo. Mi disse, verso la fine, che sentiva un senso di appartenenza nei miei confronti, il che mi fece sentire molto appagata, e probabilmente è stata una sensazione che a parole non riuscirò mai a descrivere abbastanza. Sfiniti entrambi ci salutammo, ed ebbi la sensazione che ci potesse essere molto altro dietro a quel bisogno di raccontarmi le sue fantasie o di immaginarne delle nuove, e dentro di me non vedevo l’ora di poter continuare a parlare con lui. C’era anche qualcosa nella sua voce che mi coinvolgeva, parlava con fare spedito e sicuro, era dettagliato, i suoi racconti ricchi di particolari, vividi, era diretto, spicciolo, senza peli sulla lingua, e coniugava in maniera corretta i verbi. Continuammo a sentirci mischiando sessioni con scenari immaginari e racconti di vita reale, c’era sempre più coinvolgimento e apertura, la durata media delle telefonate era di due, tre ore, per arrivare ancora una volta a quattro, o più telefonate al giorno. Ed io lo aspettavo, ero presa da quello sviluppo, mi dava un senso di familiarità oramai sentirlo così spesso, quando una sera, mentre stavamo facendo un role play dove lui era lo studente che, una volta entrato in un’aula dove un professore lo stava aspettando seduto con la cintura dei pantaloni in mano chiedendogli di denudarsi e strisciare verso di lui per prendersi le cinghiate che meritava, accadde all’improvviso qualcosa di diverso. Lo scenario funzionava, eravamo completamente dentro ma ad un certo punto mi disse che gli sarebbe piaciuto che ci fossi io al posto di quel professore a sculacciarlo, per poi farlo sedere sullo strap-on che ipoteticamente indossavo. Mi chiese da che lato volevo che si sedesse dopo aver preso quelle sculacciate, e gli risposi che avrebbe dovuto sedersi dandomi la schiena. Acconsentì ma sembrava che si aspettasse un altro tipo di risposta, così, sempre nell’ottica di soddisfare un cliente, gli chiesi cosa sarebbe successo se si fosse seduto sopra di me dandomi la faccia, mentre scendeva lentamente col peso del suo corpo sul mio strap-on. Gli chiesi anche cosa sarebbe successo se la sua faccia a quel punto fosse finita sul mio seno, e visto che la ricchezza di linguaggio, anche per le scene hard in real time via telefono non mi manca, cominciai a descrivergli minuziosamente il momento nel quale avesse appoggiato il viso sul mio petto. La sua reazione fu per me avvincente, perché sembrava possedere la capacità di descrivermi cose che avrebbe fatto in quel momento che rispecchiavano al 100% i miei desideri, senza che dovessi neanche chiedere, e che esulavano da quelle frasi da manuale che generalmente mi sento dire durante le sessioni dai sottomessi “generici”. Proseguimmo sempre giocando i rispettivi ruoli, poi, ad un certo punto, la cosa sfuggì, inaspettatamente ed in maniera piacevole, di mano, per passare ad un free style decisamente più selvaggio. Il tutto, naturalmente, soltanto a parole, ma i nostri corpi erano lì che vivevano in maniera tremendamente reale la scena: la temperatura saliva, l’atmosfera nelle rispettive stanze si faceva più densa, il respiro cambiava intensità ed anche le nostre voci modulavano il tono, finché ammisi, candidamente ed in maniera molto spontanea, di essere completamente bagnata. Ricordo ancora l’inflessione nella sua voce dalla quale trasparì un sussulto di gioia e stupore, di colore, di vivida emozione. Cavalcammo, quasi letteralmente, l’onda, arrivando a consumare un rapporto così intenso seppur non essendo nello stesso luogo, da risultare sconvolgente. Urlai alla fine, premendo la testa sul materasso del letto dov’ero per non svegliare gli altri abitanti della casa dove vivo, anche se, oramai, era già tarda notte. Fu bellissimo, una delle esperienze più intense mai provate in vita mia. C’era la sua voce dall’altra parte che mi guidava, che mi spronava, che mi teneva, sosteneva ed incitava, ed io, come in preda a qualche sorta di incantesimo, seguivo, senza farmi troppe domande, senza pensare che non conoscevo in realtà davvero l’uomo che stava all’altro capo del telefono, avendolo visto soltanto in foto e che eravamo a migliaia di chilometri di distanza in quel momento, ma vicini come non mai. Rimasi sconvolta. Ci scrivemmo naturalmente il giorno dopo, come per ritrovarci ancora dopo quella esperienza esplosiva, lui ammise che non riusciva a pensare ad altro ed io mi riempii di gioia per l’aver condiviso un qualcosa di così pieno, vivo e vibrante con lui. C’era da considerare, però, che il tutto era successo durante una sessione il cui scopo, almeno inizialmente, era un altro, per cui, professionalmente parlando, mi feci qualche domanda. Decidemmo che ci saremmo sentiti in maniera informale la sera stessa giusto per qualche minuto, per fare il punto della situazione e capire cosa fare e se, e come, proseguire, sempre professionalmente parlando. Rimanemmo invece al telefono altre tre o quattro ore, durante le quali nessuno dei due sembrava voler terminare quella comunicazione.  Era quasi irreale, le parole scorrevano come l’acqua, lisce, sinuose, i nostri discorsi erano perfettamente intersecati, fluenti, coerenti, sostenuti da un entusiasmo condiviso raro, prezioso. Gli dissi, tra le mille cose di quella sera, che ovviamente da quel punto in poi, nulla sarebbe stato più come era prima, che l’aspetto personale aveva preso il sopravvento su quello professionale e che non avremmo potuto più recitare, almeno come prima, i ruoli stabiliti all’inizio, e che avremmo dovuto dire addio alle sessioni. Ma la cosa non sembrava neanche importante, l’importante sembrava che potessimo continuare a sentirci, a parlarci, a cercarci in qualche modo. Scherzai sul fatto che magari avevo ceduto a quello che era successo perché, dopo l’essere stata chiusa in casa per mesi, avevo voglia di fare sesso, ma lui mi riprese, mi disse che c’era molto di più che non solo sesso, che il coinvolgimento era a tutt’altro livello. Erano ancora il tempi del lockdown, almeno in Italia, o di quella che è stata chiamata “fase 2” ad un certo punto, per cui il mezzo telefonico sembrava, vista anche la lontananza, ancora l’unico mezzo di intersezione personale. Eppure io, da persona molto fisica ed amante del contatto, anzi, direi desiderosa e bisognosa in qualche modo di contatto, sognavo di viverla davvero quella dimensione materiale, di sentirle davvero quelle mani lì sul mio corpo, e fantasticavo su un possibile incontro, quando il delirio dovuto al virus Corona sarebbe finito. Una di quelle sere nelle quali ci sentivamo mi disse candidamente che non ero la prima Mistress con la quale si lasciava andare a qualcosa di più, visto che aveva già avuto alcune esperienze nella vita reale di sessioni BDSM che a volte erano sfociate nella messa da parte dei ruoli per dedicarsi a qualcosa di più libero da schemi. Lì per lì non capii bene il perché me lo stesse dicendo, ma il mio istinto mi fece notare che sembrava una cosa che si ripeteva, come una sorta di copione che veniva messo in atto, sicuramente in maniera non dolosa, da parte di Marco. Magari era solo che gli piacevano le donne che decidevano di interpretare quel ruolo, ed era come se, ad un certo punto, l’energia sessuale scaturita dalle sessioni nelle quali lui esplorava la sua parte sottomessa fantasticando su altri uomini e talora anche gratificandone qualcuno in presenza della Mistress, facesse scattare qualcosa di più primitivo che il recitare dei ruoli per soddisfare delle fantasie, quel certo istinto primordiale che prendeva piede, si risvegliava, e la natura seguiva il suo corso. Sicuramente non c’era malizia nel suo raccontarmi di questa esperienza precedente, ma io, incline a volermi sentire speciale, cominciai a farmi delle domande sul perché stava succedendo quella cosa e perché mi sentivo toccata così dalle sue parole. Perché per me, forse in maniera naif, era stata una situazione talmente speciale che appariva unica, ma che, dopo avermi detto che per lui era già successo svariate volte, questo mi fece sentire, forse in maniera contorta, meno speciale. Glielo dissi, forse ingenuamente, che da parte sua mi sembrava che ci fosse stata questa cosa del ripetere la stessa situazione, e la cosa sembrò immediatamente irritarlo in maniera profonda. Gli dissi che dovevo pensarci un po’ su e che mi serviva un attimo di tempo per riflettere, così, dopo un paio di giorni durante i quali non ci sentimmo, gli scrissi di nuovo. Non trovammo un terreno fertile per quella comunicazione, fu lui a dirmi che non si sentiva a suo agio con quello che gli avevo detto io a proposito del ricreare la stessa situazione, mi sembrava che si fosse offeso, e mi disse che avrebbe voluto che non ci sentissimo per un po’. Mi sentii in colpa, gli dissi che probabilmente avevo sbagliato a cedere a quell’istinto e a lasciarmi andare così liberamente alla passione e che di solito preferisco che le persone mi paghino per le sessioni piuttosto che lasciare avvicinare qualcuno in maniera così profonda per poi rimanerci male, quando a me piacerebbe, se e quando un tipo di complicità così intensa si manifesta, che l’altra persona rimanga. Gli dissi poi che secondo me non ci saremmo sentiti più, e piansi. Bastò poco a farmi rendere conto di come il mio meccanismo di difesa aveva fatto innalzare il muro per paura di essere lasciata, o giudicata per essermi esposta, o essermi sentita vulnerabile nel lasciare che questo sconosciuto mi possedesse in maniera così viscerale, senza mezzi termini, partendo da una situazione completamente opposta. E di come la mia risposta poteva suonare aggressiva in un certo senso, come se, per paura di essere allontanata, cercassi anche io di allontanare l’altro. Passai i giorni seguenti tormentata, furono anche i giorni durante i quali andai in Italia col treno, per visitare la mia famiglia. Diciotto ore all’andata, venti al ritorno. Durante il viaggio di andata ebbi naturalmente molto tempo per pensare, e scrivere. Così scrissi qualche riga a Marco, che gli inviai il giorno seguente l’arrivo a casa dei miei. Gi scrissi che avevo fatto mente locale sull’accaduto, che mi dispiaceva molto e che mi ero resa conto che lui non era il solo a ripetere delle esperienze con la stessa tipologia di persona, anche io sembrava che avessi una predilezione per gli uomini più o meno della sua età e con certe caratteristiche che li facevano assomigliare gli uni agli altri. Lui era il quarto del “genere”. Scacco matto alla mia smania egoica di essere unica. Mi rispose che avrebbe letto quello che avevo scritto ma che non dovevo aspettarmi alcuna risposta, quando invece, una volta letto il mio messaggio, la risposta arrivò subito, spiegandomi ancora che non c’era alcuna malizia nelle sue azioni, che se avrebbe voluto (testuali parole) accoppiarsi non gli sarebbero mancate le occasioni nella vita reale e che non aveva secondi fini se non quello di godere di quello che stava succedendo. Ci tenne a precisare che lui non era il pregresso e che il mio considerare quello che era successo come un suo tentativo di usarmi o circuirmi lo aveva molto infastidito. Fu in quel momento che qualcosa in me cambiò, forse per la franchezza con la quale mi parlò. Sentii che potesse essere stato il mio timore di non essere all’altezza di qualcuno che c’era stato prima o non speciale abbastanza a farmi alzare le difese, minando una storia che sembrava inverosimile da quanto era intensa e gratificante. Avrei voluto che rimanesse nella mia vita, Marco, perché mi era entrato dentro, ma allo stesso tempo avevo paura che non potessi averlo, che le condizioni nelle quali la cosa si stava sviluppando non fossero delle migliori. Insomma, ero combattuta, e temevo di fare degli sbagli. E a questo punto qualcos’altro ancora di molto significativo accadde, che cercherò di spiegare attraverso una possibile dinamica D/s (Dominazione/sottomissione). Mi venne, idealmente, da chinare il capo in segno di scusa, da inginocchiarmi, perché sentivo di aver lasciato che le mie paure mi portassero ad agire con avventatezza, sentivo che il mio ego si era affacciato premendo per rivendicare un posto che mi rendeva ebbra, vibrante, eccitata senza, almeno in parte, tenere conto dell’altro e la sua storia. Mi venne da dirgli che avrei voluto inginocchiarmi e soddisfare le sue voglie, le sue richieste, gli stavo chiedendo di prendere il controllo e, per ristabilire l’ordine dopo il caos creato, di decidere come meglio usarmi per bilanciare di nuovo la nostra dinamica. Come chiedere una punizione da espiare, sottomettendosi alla decisione dell’altro, non sentendomi affatto debole ma forte abbastanza da sostenerla quella punizione, per dimostragli la mia volontà e la mia intenzione di seguirlo. Da quel momento in poi le cose non furono mai più le stesse. Ebbi modo di constatare come l’essere switch di Marco si espletava molto bene in entrambi i ruoli, visto che da quel momento in poi fu lui a prendere il comando, accettando di buon grado la mia offerta di soddisfarlo, mentre cercavo redenzione ed una sorta di perdono da parte sua. Nessuna ombra di esitazione nella sua voce, nessuna sbavatura, un’attitudine innata al comando risalita in un solo momento a galla, ed eccomi a vivere, attraverso la voce e la guida di Marco, il ruolo di sottomessa, per libera scelta, in scenari anche piuttosto spinti. Un tuono a ciel sereno, anche se non ho mai nascosto il fatto che, almeno all’inizio della mia ricerca nel mondo del Bondage, io desiderassi approcciarlo da bottom, ovvero essere legata, e non da rigger e che in qualche modo avessi sempre sentito che da qualche parte in me c’era già il desiderio di esplorare quel lato da sottomessa. Ma stavolta era diverso, era seguire un qualcosa che nelle sue “mani” sembrava naturale, almeno in quel momento, e siccome lo sentivo così sicuro, era molto facile per me lasciarmi andare. La cosa bella era che ci si poteva anche ridere sopra, non c’era il bisogno di essere troppo seriosi che la cosa funzionava lo stesso, anzi, anche meglio. E da quel momento in poi lui ci fu sempre, ad ogni momento del giorno o della notte, ci sentivamo anche se arrivava a casa tardi dal lavoro, anche se era in ufficio, anche se era stato impegnato coi figli, se stava viaggiando in macchina. E come lui mi aveva detto tempo addietro durante una di quelle sessioni notturne che sentiva un senso di appartenenza, anche io lo sentivo, e lui me lo faceva anche ripetere spesso, portandomi poi a lasciarmi andare e a superare i miei limiti, almeno quelli mentali, nell’esplorare questa nuova parte del gioco. Ed il bello era che pur rimanendo così dominante, lo faceva per farmi stare bene, per farmi godere, non c’era arroganza, o imposizione, ed io mi mettevo al suo servizio per renderlo reale, o almeno, il più possibile reale visto che tutto succedeva ancora essendo distanti e non nello stesso luogo fisico. Eppure sentivo che eravamo fatti della stessa pasta, che c’era qualcosa che ci accomunava profondamente, che eravamo solo due polarità della stesso nucleo, della stessa energia, e che il congiungimento di queste due parti dava un’intero che era molto di più della somma di quest’ultime. Poco prima del mio viaggio in Italia gli dissi che mi sarebbe piaciuto andarlo a trovare, e che avevo pensato di fare una deviazione sulla rotta di rientro in Germania per raggiungerlo nel suo paese, ma che forse non era il momento adatto, visto che di tempo ce ne sarebbe stato proprio poco. Lui annui, dicendo che di tempo per incontrarci ce ne sarebbe voluto di più. Per tutto il mio viaggio di ritorno in Germania, comunque, durato circa venti ore, ci sentimmo spessissimo, a partire dalla mattina presto, neanche le sette ed io ero già in treno e lui in macchina che eravamo lì a messaggiare, a mandare foto, a dire sciocchezze e a riderci sopra. Mi tenne compagnia per ore durante quel viaggio interminabile, nell’ultima tratta, avendo io fatto scalo a Monaco ed essendo stato il treno che dovevo prendere cancellato, rimanemmo al telefono per più di tre ore, finché sfinito, mi diede la buonanotte che oramai ero su un altro treno in direzione Berlino, non prima di chiedermi di mandargli un messaggio appena rientrata a casa, non importava l’ora tarda. Così feci, passate da poco le 02:00, quando rincasai. Ed il giorno dopo di nuovo a scrivere, a telefonarci, a mandare foto, ed in me cresceva sempre più il desiderio di incontrarlo Marco, di renderlo reale, o forse più reale del solo sentirci al telefono, di sentire che odore aveva, come i nostri corpi si sarebbero parlati, ma anche solo di capire che sensazione avrebbe potuto darmi avercelo lì a distanza ravvicinata, invece che all’altro capo di un telefono cellulare. Mi saltava anche in mente, però, che il nostro incontro sarebbe potuto essere un fallimento nella vita reale, che magari non avrebbe funzionato, che avremmo dovuto avvicinarci partendo da lontano, magari andando solo a mangiare qualcosa, o a spasso per le vie della città, così, per aprire, eventualmente, i canali di un altro tipo di comunicazione. Percepivo tra le righe, però, che lui non è che avesse questo desiderio così spiccato come lo avevo io, e la cosa mi risultava leggermente frustrante. E dal marasma del lato oscuro dei sentimenti non razionali che giacciono inevitabilmente in ognuno di noi cominciò a risalire di nuovo l’idea che fossi io a non essere interessante abbastanza da meritare di essere conosciuta più a fondo, o da invogliarlo a venire a trovarmi, o a farmi invitare a raggiungerlo, in qualche modo, in Italia. Pensai di nuovo a quella storia che mi aveva raccontato delle altre Mistress, pensavo che in fondo questa storia qui lui magari l’aveva già vissuta e che, pur essendo coinvolto, non era niente di nuovo, ergo, non aveva il desidero di approfondire la cosa come potevo averlo io, quasi bramosa di vivere le cose appieno, in maniera completa, appagante. Mi sembrava anche di aver capito che le donne, nella sua vita, non erano mai mancate e che, come mi aveva detto già altre volte, arrivava un punto, almeno negli ultimi anni, nel quale lui si allontanava da loro, cercando sempre “relazioni” con persone che ne avevano già delle altre, o che erano impossibili da avere, così da tenerlo in “salvo”. Questa sensazione stava diventando troppo da sostenere per me ed il dubbio in me cresceva con i giorni, coadiuvato anche da alcune conversazioni sulla vita privata che avevamo avuto, nelle quali Marco si era lasciato andare ad un certo pessimismo che a tratti mi faceva preoccupare per lui. Mi diceva che non vedeva alcun futuro e che non riusciva a godere più delle cose a lungo termine, che si annoiava delle cose piuttosto rapidamente e che voleva cambiare spesso le carte in tavola, anche sessualmente parlando.  Ci furono infatti, poi, un paio di volte durante le quali i nostri ruoli si invertirono di nuovo, ed io presi il sopravvento ritornando a giocare la parte dominante. Una di queste è stata l’ultima volta che ci siamo sentiti in queste vesti, accaduta un paio di settimane fa dal momento in cui sto scrivendo queste righe. È stata forse l’interazione più intensa che abbiamo mai avuto, nata da un discorso a proposito di Berlino e della vita notturna della città, di come io abbia avuto modo di esibirmi alcune volte in uno dei locali più importanti della scena techno europea, chiamato KitKat Club e di quella che era la scena dei locali BDSM della città prima che la gentrificazione ne pregiudicasse l’esistenza, facendone chiudere completamente uno e spostare l’altro in una zona di periferia per raggiungere la quale bisogna arrivare al capolinea di una delle linee della Metropolitana e poi prendere anche un autobus, il che non lo rende eccessivamente accessibile a tutti, specialmente quando è ora di rientrare la sera. Dopo questo racconto, nel quale ero completamente piena di me e dominavo la “scena” con le mie storie di quello che avevo fatto in questa città e lui mi ascoltava attentamente lasciandosi trasportare dentro questi quadri animati, ci dirigemmo in maniera molto naturale verso quel limbo di parole che ci aveva già portati nelle settimane precedenti a far scivolare giù la mano nelle mutande. Stavolta però la mano ce l’aveva messa soltanto lui, ed io, continuando sulla scia della mia pienezza nel narrare i racconti su Berlino, lo guidavo, creavo la scena a parole di quello che stava succedendo in quel momento, e lui si era aperto in maniera molto naturale al mio avvento sul suo corpo, mentre descrivevo come non solo la mia bocca stesse facendogli qualcosa ma anche la mia mano, in un’altra parte, o pertugio, del suo corpo, fosse intenta ad esplorare a fondo. Fu un’esperienza di cui sento l’eco anche adesso, ricordo come si fece completamente rapire dalle mie parole, che lo incalzavano sempre di più a toccarsi sapendo che ero io a farlo tramite le sue mani, parole il cui ritmo saliva come sarebbe salita l’eccitazione della scena nella vita reale, e lui perse i confini, si dissolse nell’idillio sfocato dovuto alla mia guida, si perse magnificamente nei meandri dello scenario, gemendo di piacere man mano che il flusso si intensificava. Lo sentii grugnire ad un certo punto, ma io non mi fermai, e continuai a penetrarlo con le parole, dissolvendo ancora di più i confini di quella conversazione a distanza, materializzandomi idealmente non solo nel suo corpo, ma nella sua mente. E lui rimase in ballo ed in balia di quelle onde per molto altro tempo, mentre io continuavo a parlargli, ritrovandosi sfinito e confuso alla fine. Mi chiese, con voce soddisfatta ma provata, di rimanere ancora un po’ con lui, che la sua mente era confusa, che si sentiva finalmente libero dal controllo, che ero stata in grado di fargli acquietare il continuo lavorio mentale e che si era abbandonato a quel fiume in piena sentendosi trasportare in luoghi dove non era stato prima. Gli dissi che sarei rimasta al telefono mentre si addormentava, vegliando sul suo passaggio verso il reame di Morfeo, e che poi avrei chiuso io la comunicazione. E così facemmo, immaginando io di averlo con la testa sul mio grembo, mentre scivolava in quel sonno così tanto desiderato. Ci scrivemmo immediatamente la mattina dopo, non appena aperti gli occhi, lui ancora a tratti confuso ma desideroso di andare avanti con l’esperienza provata la sera precedente, così ripresi da dove eravamo rimasti, con la voce bassa, roca, decisa, portandolo di nuovo a perdersi tra le onde dei miei comandi, finendo col farsi penetrare ancora da me, a distanza. Fu stordente quella mattina, anche per me, ma ancora molto, molto intenso. Ci sentimmo poi in giornata, lui stava partendo per raggiungere la ex ed uno dei suo figli, il più piccolo, presso una località di vacanza. Parlammo al telefono per quasi tutto il suo viaggio in macchina, anche in video chiamata, poi ad un certo punto percepii la sua attenzione slittare verso qualcos’altro, era evidentemente stata richiamata verso quello che lo stava aspettando alla fine di quel viaggio, così ci salutammo, e chiudemmo la telefonata. Qualcosa è cambiato ancora da allora, e stavolta non in meglio. Le comunicazioni cominciarono a diminuire, perché ovviamente era spesso col figlio, e non poteva di certo parlare con me nel frattempo. Qualche messaggio, un buongiorno qua e là, una buonanotte secca, ma la distanza, ed un certo cambiamento nel suo umore, e anche nel mio, si cominciarono a far sentire. Arrivammo a parlare del tempo, quasi come se la connessione così intensa si fosse tutto d’un tratto interrotta, o fosse scivolata da qualche parte e non fosse pienamente raggiungibile in quegli istanti. La mia frustrazione saliva, il desiderio di voler spendere del tempo con lui nella vita reale pure, ma l’impossibilità era preponderante, sentivo che la dinamica stava letteralmente cambiando e che la sua vita precedente al nostro incontro stava prendendo il sopravvento, riportando alla luce, probabilmente, storie non ancora guarite o superate. Mi scrisse un messaggio più lungo una notte, dopo che era uscito con degli amici, mi scrisse una sorta di descrizione della sua vita, come se la raccontasse ad un pubblico, come se fosse stato davanti ad una platea ed avesse declamato le tappe che lo avevano portato fin lì, mi disse che era stato portato a diventare presto competitivo, a raggiungere svariati successi lavorativi e personali, che pensava che tutto fosse possibile, ma c’era una velatura di tristezza in fondo, relativa al tempo che passa, e che mentre i figli crescono i genitori invecchiano, e che non aveva avuto vita facile da quando era ragazzo, e dalla profondità e dal tipo di presenza che mi aveva sempre dimostrato, non avevo alcun dubbio a proposito. Poi mi aveva mandato una foto del lungomare la mattina successiva, cielo nuvoloso, contrastato, foto dai toni scuri, ed l’oramai consueto buongiorno. Non capii immediatamente il perché di quel messaggio, e forse non l’ho ancora capito. Glielo chiesi il perché più avanti nella giornata, glielo chiesi e mi rispose che si era sentito di scrivermelo perché eravamo in confidenza e ci raccontavamo le cose della nostra vita privata. Io non riuscii probabilmente a contestualizzarlo, mi rimase però una sorta di amarezza di fondo, forse anche ripensando a tutte quelle volte in cui eravamo finiti a parlare di come non riuscisse più ad immaginarsi un futuro, di come non riuscisse a godere delle cose a lungo termine, tanto che il giorno dopo, che era il giorno del mio compleanno, gli scrissi anche io un messaggio più lungo del solito, anzi, decisamente più lungo del solito, raccontandogli di quella che era stata, e che tuttora è, la mia esperienza di figlia, e di come vedo la figura di mio padre. Sentivo di volergli dare il mio punto di vista, pensavo di potergli passare un pezzo di esperienza diretta. Mi rispose con un vocale lungo quasi mezzora, approfittando di un momento della giornata nel quale il figlio non c’era, e mi disse molte cose ovviamente, mi disse che, da padre, si ritrovava in alcune cose che mio padre aveva fatto o detto, che approvava o meno alcuni suoi comportamenti che gli avevo raccontato, poi mi disse una frase che mi ferì, portandomi a volergli domandare a proposito di cosa ci stessi a fare io invece nella sua vita, sentendo salire sempre di più la paura di perderlo, sentendolo così demotivato, così giù, così distante. Mi disse che si sentiva vuoto, e che neanche il sorriso e la presenza di suo figlio riuscivano a dargli più di qualche minuto di serenità, il che mi fece letteralmente trasalire e sentire che stavo perdendo la bussola e l’orientamento in quel momento che invece sembrava così delicato. Glielo domandai quindi cosa ci stavo a fare se neanche suo figlio, che considerava la cosa più importante nella sua vita, riusciva a farlo stare bene. Gli dissi anche che avevo la netta sensazione che lui non volesse quello che volevo io, ovvero incontrarci di persona, sancire questa connessione con la fisicità, con la presenza, non sentivo affatto il suo desiderio, e la cosa era diventata più che frustrante a quel punto, direi snervante da sostenere, più che altro perché sentivo che sarebbe stato un possibile motivo di allontanamento ulteriore. Mi venne spontaneo dirgli che sarebbe stato meglio allora farmi da parte, se non c’erano i presupposti per qualcosa di tangibile della quale poter gioire assieme. Mi disse che no, non sentiva il desiderio di incontrarmi di persona, che il suo pragmatismo gli diceva che sarebbe stata una cosa impossibile da  fare e da vivere, che se poi l’incontro avrebbe funzionato, (e c’era la grande probabilità che le cose fossero andate così dato che l’intesa era già così forte anche solo a parole), sarebbe stato difficile riuscire a vivere separati da distanze non percorribili in breve tempo e che richiedono, ovviamente, anche una discreta quantità di denaro che magari non é sempre disponibile; e vedersi magari ogni tre, quattro mesi al massimo, visto anche che lui ha dei figli a cui badare, ed un lavoro che lo tiene molto occupato, non sembrava un’opzione possibile. Mi disse che non voleva affatto relazioni a distanza, che le rifiutava a priori, visto che c’era già passato che che, evidentemente, la cosa era andata male. Mi disse anche che, come mi aveva già detto, aveva già rifiutato tutte le donne che gli avevano fatto delle avance perché prima di decidere di nuovo di mettersi in una relazione sarebbe dovuto passare del tempo, e che questo era il suo meccanismo di difesa per non farlo soffrire ancora. Nulla più sembrava invece significare tutto quel tempo passato “assieme” ad approfondire la conoscenza, a cercarci ripetutamente, ad esserci l’uno per l’altra e viceversa; tutta quella intensità, la complicità cresciuta parola dopo parola e la ricchezza di emozioni che si era sprigionata durante quei mesi vennero in un attimo vanificate e rese sterili, prive di ogni significato, evirate del loro potenziale di crescita e ridotte ad una carcassa già maleodorante sul nascere, fatta di una guerriglia di rigurgiti a tema sentimentale espulsi in maniera a tratti  anche coatta. Credo che una coltellata a tradimento mi avrebbe fatto meno male. Piansi molto durante questo scambio che avvenne neanche durante una chiamata, ma tramite messaggi scritti e qualche vocale, alternati da lunghi, tremendi silenzi. Mi sentii profondamente ferita, soprattuto dal fatto che oramai sembrava che stavolta fossi io a far inevitabilmente parte del suo pregresso, mentre egli stesso, tempo addietro, aveva tenuto così tanto a ribadire che lui non era parte del mio e che c’era molto di più; fu una sensazione così spiacevole constatare che anche io fossi diventata, a quel punto, soltanto un’altra di quelle donne a cui lui diceva di no quando volevano quel “qualcosa di più”, quelle donne ammassate poi figurativamente in una ideale fossa comune e rese anonime e private di ogni spessore, nonché della loro identità, ed ebbi la sensazione che non c’entrava il fatto della distanza, era come se mi ripetesse delle cose che andavano in automatico, il suo meccanismo di difesa e la sua rigidità avevano oramai preso il sopravvento e niente e nessuno avrebbero potuto fargli cambiare idea. Io di certo non mi immaginavo che se le cose avessero funzionato sarebbe stato facile continuare a vedersi, ma non mi aveva mai neanche sfiorata il pensiero di rinunciare perché sembrava impossibile, anzi, lo sentivo come un incentivo a trovare soluzioni. Ma lui sembrava stanco anche solo di dovermi dare delle spiegazioni ulteriori, come se non volesse ripetersi, come se oramai non ci fosse già più  un dialogo, probabilmente. Gli dissi che la sua freddezza mi spaventava, e che sarebbe stato meglio, ancora una volta, se la mia fosse stata solo voglia di sesso, come gli dissi già tempo addietro, o che avesse continuato a pagarmi. Da lì in poi gli scrissi un altro paio di messaggi, forse in preda più alla rabbia e alla frustrazione, nonché alla tristezza che mi arrecava la cosa. Nel primo gli dicevo che lo sentivo stanco, che lo sentivo preoccupato per il tempo che passa e che probabilmente si sentiva così per via del suo corpo che stava cambiando, per il fatto che era scarico e stanco, provato dagli eventi degli ultimi anni accaduti nella sua vita. Cercavo di spiegargli anche che per me questo non sarebbe stato mai un problema, come il mio desiderio di incontrarlo fosse stato sul piano personale, non solo fisico, e di come percepivo che magari lui, dietro a tutta la storia del rifiutare le persone, avesse potuto avere paura di essere egli stesso rifiutato, sentendo di avere delle aspettative nei confronti di se stesso che magari non avrebbe potuto soddisfare, sentendosi così scarico e svuotato. Gli dissi anche che tutta la storia delle relazioni e del rifiutarle a priori, essendosi invece già immaginato come potrebbe essere stata o meno, mi sapeva di desiderio di averne di nuovo una, desiderio reso però impossibile dallo schema mentale, sicuramente inconscio e non deliberatamente teso ad arrecare volontariamente sofferenza, che oramai si era instaurato in lui, e che prevedeva, ad un certo punto, lo stesso “destino” per tutte le donne che gli si avvicinavano troppo. Non ebbi risposta a questo messaggio, ma la sua foto del profilo WhatsApp sparì, segno evidente che mi aveva quantomeno rimosso dall’elenco dei contatti. Mi sentivo male per come erano andate le cose e ho pensato che le mie parole, e sarà stato sicuramente così, lo avessero ferito, non meno comunque di quando le sue avessero ferito me. Ho immaginato che per lui fosse difficile immaginarsi in una vita diversa da quella che stava conducendo, che la consapevolezza delle difficoltà lo bloccava, che magari si sentiva prigioniero del suo vissuto, della sua quotidianità.  Quindi non è che non volesse vedermi, forse sarebbe stato veramente troppo da gestire. O almeno credo di aver preferito questa versione dei fatti a quella dove mi rendevo conto della possibilità di essere stata solo usata per incanalare non solo le sue fantasie ma anche il suo personale sfogo e per riempire una qualche sorta di vuoto momentaneo, allo stesso modo in cui usava quegli uomini nei parcheggi per ottenere quello che voleva, per poi voltare loro le spalle, scendere dalla macchina, e tornare sui suoi passi. Mi rispose quasi subito in maniera aspra, tagliente, solo un paio di parole più per allontanarmi che per riaprire il dialogo.Gli scrissi che mi dispiaceva, che secondo me era successo tutto in un down dovuto all’esperienza intensa che avevamo avuto prima che lui partisse, e che, una volta arrivato lì al mare da suo figlio, era venuto in contatto con una realtà personale che magari per lui era difficile da gestire, ed io, qui a Berlino, ero caduta nella trappola del pensare troppo, il che aveva fatto esplodere la bomba. Nessuna risposta. Ho fatto un ultimo tentativo oggi pomeriggio. M’ha bloccata. E a questo punto non credo che lo risentirò mai più.

Mi rivolgo a te ora, che so che prima o poi leggerai queste parole.

Volevo soltanto dirti che … no, niente.

Foto originale: Epic Zambo – https://www.instagram.com/epiczambo/

Green light, Seven Eleven
You stop in for a pack of cigarettes
You don’t smoke, don’t even want to
Hey now, check your change
Dressed up like a car crash
Your wheels are turning but you’re upside down
You say when he hits you, you don’t mind
Because when he hurts you, you feel alive
Is that what it is

Red lights, gray morning
You stumble out of a hole in the ground
A vampire or a victim
It depends on who’s around
You used to stay in to watch the adverts
You could lip sync to the talk shows

And if you look, you look through me
And when you talk, you talk at me
And when I touch you, you don’t feel a thing

If I could stay
Then the night would give you up
Stay and the day would keep its trust
Stay and the night would be enough

Faraway, so close
Up with the static and the radio
With satellite television
You can go anywhere
Miami, New Orleans
London, Belfast and Berlin

And if you listen I can’t call
And if you jump, you just might fall
And if you shout, I’ll only hear you

If I could stay
Then the night would give you up
Stay then the day would keep its trust
Stay with the demons you drowned
Stay with the spirit I found
Stay and the night would be enough

Three o’clock in the morning
It’s quiet and there’s no one around
Just the bang and the clatter
As an angel runs to ground

Just the bang
And the clatter
As an angel
Hits the ground