Berlino è una città ricchissima di persone desiderose di fare nuove (seppur momentanee) conoscenze, applicazioni come Tinder, Ok Cupid, o siti web come Joyclub traboccano di persone che mettono in bella vista il loro ritratto virtuale per attrarre e sedurre potenziali partner. Anche io sono passata attraverso questi canali per incontrare dei potenziali partner, soprattutto durante i primi periodi della mia permanenza in questa città, anche se iscrivermi a Tinder non è stata la prima cosa che ho fatto quando ho messo piede a Berlino. Frequentai invece alcuni workshop a Schwelle7 , e fu proprio durante uno di questi che incontrai, dopo neanche un mese dal mio arrivo, un uomo con un particolare fascino (o almeno così lo percepivo io) sulla cinquantina, col quale iniziai una particolare relazione. Parlammo durante una delle pause di quel workshop, ci scambiammo i reciproci contatti social ed infatti mi contattò qualche giorno dopo tramite messaggio su Facebook, invitandomi ad uscire per un caffè assieme. Ci trovammo immediatamente intimi, e quell’uomo mi disse che avrebbe avuto piacere nell’introdurmi nel mondo dei locali BDSM della città, come se si sentisse un Cicerone in grado di mostrarmi, pavoneggiandosi anche un po’, il lato underground (ma poi neanche tanto) della Berlino fatta di collari di pelle, manette e frustini. Personalmente, essendo arrivata da poco in città e fomentata dall’entusiasmo mi sentivo in una fase piuttosto ricettiva, esplorativa e di apertura, lui invece, proprio in quel periodo, stava vivendo un momento nel quale cercava di affermare la sua “mascolinità” perseguendo una ricerca di controllo e dominazione, per cui andò da sé che i ruoli che rivestimmo riproponevano il classico cliché di lui “attivo” ed io “passiva”. Quella piccola storia di benvenuto sembrava in qualche modo funzionare, d’altronde a me, da ultima arrivata, sembrava tutto nuovo, bello ed intrigante. Avevamo preso a frequentare, per i nostri incontri, un piccolo locale BDSM in un quartiere di Berlino chiamato Neukölln, e fu proprio durante una delle nostre visite in quel club che mi rivelò che al momento aveva non una ma due relazioni all’attivo, entrambe però sull’orlo di una grave crisi. Una delle due donne era la sua partner principale, con la quale conviveva da diversi anni, mentre l’altra era una donna che stata uno dei primi amori trovati nel mondo del BDSM al tempo dei sui primi approcci nell’ambiente, amore che poi era lentamente sfumato verso un offuscato oblio, rimasto nell’ombra per anni e tornato inaspettatamente a farsi vivo da pochi mesi, andando ad intaccare l’altra storia sentimentale. Mi disse che entrambe le donne erano al corrente delle rispettive posizioni rispetto a quell’uomo, secondo alcune regole dettate dal mondo del poliamore, ma questo non aveva messo a riparo nessuna delle due dalla furia della gelosia, e ne era nato un grande conflitto. Fui colpita da quella storia, e la prima richiesta che gli feci fu di lasciarmi fuori da quel marasma informe, anche perché di tutto avevo voglia tranne che di intromettermi tra due donne già in lite tra loro per accaparrarsi un uomo, tra l’altro in crisi di mezza età. Cosa che puntualmente non avvenne, visto che ad un certo punto lui parlò di me alla sua compagna principale. Mi ritrovai in breve tempo invischiata in una torbida storia di non detti, mezze verità, gelosie e rancori andati a male e fu devastante, perché mi sentivo completamente esposta ed emotivamente vulnerabile e mi sarei aspettata che la figura di un uomo più “forte” e maturo mi avesse potuto dare in qualche modo l’illusione di essere protetta, al riparo. La mia storia con quell’uomo durò poco oltre. Un bel giorno ricevetti la telefonata della donna con la quale aveva vissuto negli ultimi anni che mi diceva che lo aveva finalmente cacciato di casa, e che se avessi voluto ora sarebbe stato tutto mio. – “ No, grazie.” – Passarono alcuni mesi, ed in un pomeriggio di Agosto effettuai quasi distrattamente la mia prima iscrizione a Tinder. Non ne fui immediatamente conquistata, lo avevo trovato quasi noioso; in pratica avevo passato qualche serata a scorrere le facce, a volte anche piuttosto improponibili, di sconosciuti imbellettati (ma qualcuno poi neanche tanto) che esibivano le proprie foto tramite un’interfaccia scorrevole per telefonia mobile per essere magari scelti come possibili partner, elogiando le qualità più o meno nascoste ed i più svariati interessi. Per me, cinicamente, era un po’ come sfogliare un catalogo con delle foto di bestiame da macello, ad ogni scorrere del dito sullo schermo con successiva scomparsa laterale della foto del candidato sembrava che lo avessi fatto scomparire non solo dalla vista ma anche dalla faccia della terra. Ad un tratto poi diventavano tutti anonimi, insapori, il dito scorreva sempre più veloce e sempre più velocemente le facce sparivano inghiottite dall’anonimato che solo l’aggregazione di contenuti di massa può riservare. Ma proprio in uno di quei pomeriggi d’Agosto mi arrivò su Tinder un messaggio in cui un uomo, secondo me, a prima vista, sulla quarantina, con capelli lunghi, cappellino da basket con visiera e bomber in acetato di fattura anni 80 mi mandava il suo numero di telefono, chiedendomi di aggiungerlo su Whatsapp. Era molto carino, scoprii poi tramite una veloce ricerca via Google che era un Dj rampante di musica techno e che l’aspetto da quarantenne vissuto e già abbastanza spremuto dalla vita era solo dovuto ad una foto venuta probabilmente male e inavvertitamente scelta come foto del profilo, visto che di anni ne aveva 30 (anzi, ancora 29 al tempo). Lo aggiunsi alla mia rubrica, cominciammo a scambiarci messaggi, dopodiché cominciò a mandarmi qualche foto, di cui una in particolare di lui in palestra, ovviamente dopo aver fatto lezione e mentre si trovava nello spogliatoio con indosso solo i pantaloni grigi della tuta, sudato. Come resistere? Combinammo per incontrarci di persona, e quando lo vidi rimasi stupita di quanto le foto non gli rendessero giustizia in merito alla sua reale età, dal vivo sembrava poco più che un ragazzino. Bastò poco affinché ci ritrovassimo piuttosto intimi; lo trovai particolarmente affascinante, al contatto morbido e sensuale, sinuoso, anche gentile, ma ad un tratto la foga di un giovane maschio che necessita di esternare la sua potenza sessuale per affermare il suo posto nel mondo prese il sopravvento e la cosa per un po’ sembrò degenerare in una sorta di ginnastica ritmica a pressione, almeno per me, totalmente inutile se non fastidiosa. Apprezzai però il fatto che si prese anche cura di me, dedicandomi molte attenzioni, anche se, dopo tutto, sembrava che mi stessi annoiando. Parlammo giusto un po’ alla fine, dopo innumerevoli altri esercizi ginnici di spargimento del seme, poi di tutta fretta il mio nuovo giovane amichetto si rivestì e si diresse verso la porta, ci demmo un saluto frugale, poi sparì nel suo parka verde militare (sempre dal sapore un po’ vintage) dietro l’angolo del palazzo. Non contenta della mia esperienza Tinder, aprii un profilo Joyclub, un sito web che offre la possibilità di rimanere aggiornati sugli eventi ed i party a sfondo sessuale in Germania (ma credo anche in Svizzera) nonché di creare la propria pagina del profilo con foto ed informazioni personali. Misi online delle foto dove apparivo dominante, forte, sicura, una con delle corde in mano (avevo già iniziato a studiare il Bondage più seriamente), un’altra dove impugnavo una paletta da spanking. Cominciai subito dopo a ricevere molti messaggi da parte di uomini abbastanza giovani, anche meno che trentenni. In pochissimo tempo il mio profilo aveva ricevuto quasi 2000 visite. Qualcuno voleva essere a tutti i costi il mio slave, qualcun altro mi inondava di foto del suo cazzo torturato allo sfinimento, altri mi elogiavano per la mia presunta sicurezza dominante, ma quasi tutti erano dei giovani uomini in crescita desiderosi di misurarsi con l’immagine di me come donna forte e sicura che si creava nella loro fantasia. Ce n’era per tutti i gusti, l’universitario curioso di fare qualche esperienza nel BDSM, qualcun altro attratto dall’idea di farsi legare, il giovane annoiato desideroso di provare il sesso anale su di lui, e via dicendo. Ricevevo anche immagini di peni di varie dimensioni e forme, chiappe aperte con ani dissacrati da diverse tipologie di dildi, foto di uomini sconosciuti incatenati e imbavagliati e molte richieste di appuntamenti. Ad un certo punto decisi di scegliere uno tra tutti coloro che mi avevano scritto: si trattava di un ragazzo biondo, slavato, faccino angelico, mi aveva colpita perché mi aveva mandato alcune foto di lui nudo che tenga in mano un cartello dove diceva di essere il mio slave, con il suo nome, scritto a mano. Ventinovenne anche lui. Che carino, pensai. Ci incontrammo in un locale BDSM della città, chiamato Quälgeist. Avevo portato con me un vestito da donna che gli feci indossare prima di entrare, così da Notai immediatamente come gli piacque particolarmente essere legato e preso a schiaffi e palettate nel sedere, gradiva particolarmente il fatto che gli sedessi in faccia e che lo insultassi continuamente. Gli piacque molto anche lo strap-on che mi ero portata con me, col quale lo penetrai svariate volte. L’espressione del suo volto mentre era sdraiato a pancia in su, legato, gambe aperte e penetrato mi diede così tanta soddisfazione che decisi di sedermi anche sul suo membro costantemente eretto, e regalargli la gioia di essere usato per il mio semplice e puro piacere. Ci vedemmo per qualche tempo, poi divenni refrattaria alla freddezza quasi cinica degli incontri che intrattenevamo, e visto che il mio nuovo schiavo diventava sempre più pressante con le sue richieste di gioco, mentre io mi sentivo più alla ricerca di una relazione forse più matura e coinvolgente. Mi ritirai dalla frequentazione ma per assurdo comincia ia ricevere un numero considerevole di richieste di incontri da altri ragazzi, quasi tutti più giovani di me, che si proponevano come schiavi o come modelli per il Bondage. Non sono uscita con tutti naturalmente, ho giusto testato qualcuno a campione, per mantenermi in allenamento. Col passare del tempo il primo schiavo col quale ero uscita, quello che si era proposto all’inizio col cartello col suo nome e col quale c’eravamo frequentati per un po’, si fece risentire. Costernato e desideroso di farsi nuovamente accettare in qualche modo, in puro stile “ho fatto qualcosa di brutto, puniscimi duramente” si prostrava, virtualmente almeno, per essere accolto di nuovo sotto l’ampio mantello di pazienza e perseveranza che ho scoperto di possedere con le persone. Ci riprovai, decidemmo che ci saremmo visti stavolta a casa sua, avrei dovuto prendere il treno e farmi due ore di viaggio perché tra l’altro abitava piuttosto fuori Berlino. Comprai il biglietto ma l’istinto mi diceva che qualcosa sarebbe successo, e mi preparai a qualche intoppo. E difatti, il giorno precedente l’appuntamento, ci scambiammo una serie di messaggi dove mi diceva che non si sentiva sicuro, che sarebbe stato meglio se non ci fossimo visti, che aveva paura di non potermi dare quello che volevo.Io ci misi poco ad acconsentire a non vederci, ma ci rimase subito male, sbottando come se si aspettasse invece che fossi io ad insistere per vederci nonostante il suo rifiuto. Ma decisi di continuare con la linea dura, niente appuntamento. Lo mandai all’inferno, rimproverandolo per l’infantilità con la quale si stava rapportando a me, e gli dissi che i suoi capricci non erano più un mio problema. Svanì nel nulla. Il giorno dopo venni contattata da un promettente ventiduenne studente universitario, carino, gentile, un po’ magro per i miei gusti, ma carino. Scambiammo qualche messaggio per qualche giorno, dopodiché decidemmo che ci saremmo visti almeno per un caffè. E così fu, ci incontrammo, ci sedemmo al tavolo di un bar su un incrocio del quartiere di Schöneberg, chiacchierammo cordialmente per un paio d’ore, poi mi invitò a casa sua , o meglio, allo studentato-dormitorio nel quale aveva una piccola camera. E ci andai, per consolarmi delle lagne lamentevolmente giunte da parte del petulante slave dei giorni precedenti e non me ne pentii affatto, tanto che la settimana successiva ci vedemmo nuovamente, anche se per poco tempo. E la settimana dopo ancora. Tra la seconda e la terza volta nelle quali mi vidi con lo studente si affacciò ad una delle mie finestre social-kinky un altro giovane rampante in cerca di misurare la sua forza con una donna, almeno all’apparenza e/o nella sua fantasia, più forte e dominante, un ventottenne stavolta. Dai messaggi e dalle foto che scambiammo rimasi folgorata, mai ero stata contattata da un ragazzo così bello, di una bellezza per me disarmante. Ci incontrammo, pranzammo assieme, ed in mezzo ai racconti delle nostre vite e del come eravamo arrivati a Berlino lui mi disse che il suo desidero era quello di essere dominato e sottomesso, legato e immobilizzato, e sentirsi completamente indifeso. Mi disse che aveva il tabù delle esperienze troppo emotive, cercava una presenza femminile “cattiva” che lo trattasse male così da non tirare in ballo alcun sentimento, per evitare l’attaccamento a qualcosa che nella sua mente lo avrebbe trattenuto dal fare nuove esperienze e di rimanere aperto e focalizzato su sé stesso. Si aspettava anche che lo portassi il giorno stesso a casa mia per passare il pomeriggio assieme, ma io condividevo l’appartamento con una famiglia, in casa c’era un bambino piccolo di due anni, e l’idea di portare persone del genere a casa per giochi erotici più o meno torbidi non mi sfiorava neanche lontanamente. Convenimmo quindi che il giorno seguente ci saremmo potuti vedere a casa sua. Quando ci salutammo, quel primo giorno, si sporse verso di me per un abbraccio e il linguaggio del suo corpo cominciò il discorso che avremmo affrontato il giorno successivo, ma non fu un buon inizio, l’abbraccio che mi diede era mezzo vuoto, quasi inconsistente. Mi chiese però di continuare a scambiarci messaggi quella sera prima dell’appuntamento del giorno seguente, per approfondire la conoscenza, per capire come affrontare la sessione di gioco o forse giusto per avere qualcuno con cui chiacchierare. Gli chiesi cosa ne pensasse del nostro incontro, lui mi fece un sacco di complimenti, si mise a fantasticare su cosa avremmo potuto fare assieme, mi propose una sorta di gioco di ruolo dove io sarei dovuta essere la donna più grande, naturalmente malvagia, che voleva rapirlo, poi, girato per un po’ con le parole attorno a questa fantasia, ci demmo la buona notte. Il giorno successivo mi diressi verso casa sua con la mia borsa degli attrezzi. Dentro portavo le corde, la rotella metallica di Wartenberg, stecche di bambù e un paio di paddle per spanking e basta, viaggiavo leggera e basica direi. Cominciammo presto, la prima impressione su di lui fu quella di estrema passività, quasi svenevole, mostrava poche reazioni, si lasciava manipolare, si godeva anche le mie attenzioni ma la risposta era solo di natura passiva, fin troppo arrendevole. Avevo la sensazione che stessi prendendo a pugni l’aria. Non c’era nulla dall’altra parte, non riuscivo a misurare la mia forza, era come se stessi affondando in un cuscino pieno di piume, non mi sentivo sostenuta nel viaggio nel quale stavo portando me stessa e l’altro ad esplorare nuovi territori. Lo legai ma sembrava trovarsi in difficoltà tra le corde, non era molto avvezzo al dolore fisico e mi chiedeva in continuazione di spostare o allentare la legatura, cosa che spezzava completamente il flow della sessione. Cercai di non forzare troppo, d’altronde non tutti riescono a sopportare una esperienza forte, almeno all’inizio, per cui dopo qualche tentativo lo slegai, passando a qualcosa di diverso. Decisi che era il momento di prendere in mano la paletta col manico lungo e giocare un po’ con i suoi capezzoli, punendolo ogni volta che si ritirava da quelle sollecitazioni. Una chiusura di braccia…una forte palettata sul sedere. Gli torturai anche i genitali con lo stesso strumento e la cosa sembrava piacergli da morire, tanto che continuai mentre gli mordevo insistentemente collo ed orecchie. Ma lui se ne stava lì, erezione in corso ma non uno stramaledettissimo soffio di energia vitale nelle vene, gli dissi in un orecchio che non stava reagendo molto ma lui mi disse con sguardo dolce e sornione che si stava godendo quello che stavo facendo. Ecco, in quel momento ebbi la piena consapevolezza che fosse lui ad usare me per il suo piacere, e non il contrario. Mi innervosii e decisi di sedergli in faccia. La natura fece il suo corso, lo sentii applicarsi un po’ di più in questo caso, mi afferrò addirittura le chiappe con le mani e percepii una certa predisposizione al sesso orale. Inarcai completamente la schiena ad un certo punto, finché l’onda nata giù nelle profondità della pancia cominciò a risalire la parte superiore del mio corpo fino ad arrivare in gola, ed uscire (sommessamente purtroppo visto che il suo coinquilino era da poco rientrato a casa) con un suono leggermente crescente. Mi lasciai andare subito dopo sdraiandomi sul suo corpo, ancora mezza seduta sulla sua faccia, ansimante e leggermente sudata. Quando tornai completamente a sedere e discostai il mio trionfante sedere dal suo viso lo vidi sorridere, sempre con quello sguardo dolce e languido, uno degli sguardi più stranamente sereni che abbia mai visto. L’andatura fin troppo arrendevole di quel partner però mi lasciò totalmente insoddisfatta, tanto che me ne andai da casa sua poco dopo essermi goduta la comoda seduta, senza neanche scambiare più di una manciata di parole, più di circostanza che altro. Mi salutò sulla porta con un altro mezzo abbraccio, e mi sembrò di essere stata abbracciata da un fantasma tanta era la mancanza di qualsiasi vibrazione vitale. Fuggii quasi a gambe levate. Gli mandai un paio di messaggi in seguito, ma le risposte furono più deludenti e vuote dell’approccio fisico, mi disse che dalla prima volta che c’eravamo visti in lui non era scattato alcun “click” e che il suo problema era di non riuscire ad essere onesto con le persone quando c’era qualcosa che non andava, per cui non mi aveva detto nulla sul momento ma aveva deciso di voler giocare comunque con me. Incredibile ma vero, il giorno dopo il primo schiavo, quello del cartello con su scritto il suo nome, mi scrisse di nuovo, chiedendomi di parlare, dicendomi che avrebbe voluto mostrarmi la sua completa sottomissione, invitandomi nuovamente a casa sua. Decisi di non prendere neanche il biglietto del treno, quella volta.
