Herzlich Willkommen

Berlino 2016

Atterrai a Berlino una tarda sera del Gennaio 2016, era quasi mezzanotte, e come diceva Milva della sua Alexander Platz, c’era la neve. Fu un arrivo importante, quello all’aeroporto innevato, ni diede subito l’impressione di essere in un posto diverso da tutti quelli dove ero stata fino ad allora; il clima mi mostrava sfacciatamente che quel paese era freddo, e probabilmente non sarebbe stato facile ambientarsi, almeno dal punto di vista metereologico. Sarei andata a vivere a casa di una mia amica italiana, che conoscevo da molto tempo e che da qualche anno si era trasferita anch’essa a Berlino, c’eravamo già messe d’accordo nei mesi addietro ed avevamo pianificato il mio arrivo e la sistemazione presso la sua abitazione; quando misi piede sul suolo tedesco mi accolse immediatamente in maniera calorosa. Nel frattempo, dopo soli pochi giorni dal mio arrivo, mi recai in un luogo del quale avevo sentito soltanto parlare quando ero ancora in Italia, Schwelle7, il quale, però, stava per chiudere i battenti. Schwelle7 era la residenza sperimentale di un uomo tedesco di nome Felix Ruckert, ex danzatore, coreografo e ricercatore che aveva iniziato da molti anni a fondere elementi di danza, bodywork e arte con un certo tipo di sessualità proveniente dal mondo del BDSM. Lo aveva fatto sia portando in scena delle performance di danza (di cui la più famosa e discussa, Messiah Game, venne presentata al Festival internazionale di danza della Biennale di Venezia nel 2007, ottenendo moltissimo scalpore oltre ad un grande successo), sia fondando, appunto, Schwelle7 a Berlino, il luogo fisico dove portava avanti la sua ricerca, assieme ad un nutrito gruppo di persone entusiaste del suo modus operandi sperimentale e della sua filosofia. Ma non era tutto, da molti anni aveva affiancato alla sua Schwelle7 anche un festival itinerante, chiamato Xplore, nel quale proponeva workshops, letture, laboratori basati sulla fusione e la sperimentazione attorno agli elementi di bodywork e sessualità estrema. Era stato proprio il festival Xplore a farmi venire la voglia, un paio di anni prima del mio trasferimento a Berlino, di approfondire l’esperienza nel mondo del Bondage e del BDSM. Avevo partecipato infatti ad un paio di edizioni del festival in Italia, a Roma, e mi ero innamorata del clima, dell’accoglienza priva di pregiudizi o tabù nei confronti della sessualità., così, una volta arrivata a Berlino, andai quasi immediatamente a Schwelle7 per un workshop. Non fu difficile trovare il posto: era in un quartiere a nord di Berlino chiamato Wedding, in uno dei palazzi fatti di mattoni chiari e dalle grandi vetrate nei quali erano stati ricavati molti degli atelier per artisti, e Google Map mi ci condusse facilmente. Avevo consultato il sito web con il calendario di tutti gli eventi per celebrare quegli ultimi mesi di vita e avevo scelto quel particolare workshop di quel giorno dove si sarebbe lavorato con il corpo, la voce, la musica, l’improvvisazione, e lo spanking. Il primo impatto fu stupendo. Arrivai con la mia aria sognante di chi è arrivata in un posto completamente nuovo da pochissimo e sa che c’è ancora cosi tanto da scoprire, guardandomi intorno cercando di cogliere qualsiasi dettaglio, qualsiasi sfumatura. Già il palazzo stesso sembrava, con la sua architettura completamente diversa da qualsiasi costruzione io avessi visto fino ad allora, affascinante. Entrai a Schwelle7 da una pesante porta di metallo imbrunito che si trovava al secondo piano di quel palazzo. Il grande spazio che mi si aprì davanti mi restituì immediatamente un sapore industriale, grezzo; i toni scuri dell’ambiente facevano da padrone sebbene era possibile intravedere delle grandi vetrate nella parte opposta dell’entrata, semi coperte da tende. I muri non erano del tutto imbiancati o rifiniti, c’erano travi di metallo a vista sul soffitto dai quali scendevano diversi tendaggi a tinte unite, sulle tonalità  di varie sfumature di rosso, e altri neri. Delle grandi colonne bianche dividevano lo spazio, che, a detta della descrizione che trovi precedentemente a quella visita sul sito web, era di circa 500 metri quadrati totali. Mossi i primi passi all’interno e venni accolta con entusiasmo da una ragazza bionda, bellissima, che si presentò: Yolanda, olandese. Non c’eravamo mai viste prima, i volti che avevo impressi nella memoria dei frequentatori di Schwelle7 che avevo incontrato ai festival Xplore in Italia non comprendevano evidentemente il suo, e mi affidai alla sua guida, mentre mi conduceva attraverso la grande sala per mostrarmi come era fatto quel posto. Era grande come luogo, ed emanava un insieme di vibrazioni dallo spettro molto ampio, sapeva di immaginario anni ottanta, di teatro, di sudore, c’erano dentro note musicali, così come rimandi agli scenari industriali, c’erano elementi caldi come i tessuti aerei e freddi come il metallo della gabbia per torture lasciata in bella vista poco dopo l’ingresso, c’era odore di vino, di festa, ma anche di lacrime, e sangue.  Si intravedeva, poco dopo l’ingresso, una specie di guardaroba pieno di costumi teatrali, c’erano delle piante, dei quadri con delle foto di spettacoli di danza appesi alle pareti, c’erano delle corde in grandi matasse accanto ad una selezione di sex toys messi in bella vista, c’erano delle catene ai muri, ed un piccolo bar. C’erano dei materassi messi a terra lungo il perimetro della sala, dei divani e qualche poltrona in stile vintage, e delle lampade col paralume importante, di stoffa barocca. C’era anche una terrazza esterna, alla quale si poteva accedere da una porcina aperta in una delle grandi vetrate davanti al piccolo angolo bar, che altro non era se non il tetto di una specie di rimessa esterna posizionata al piano terra. Era un tetto la cui superficie era stata semplicemente catramata, senza molte  altre rifiniture. Era peculiare la sensazione di camminarci sopra a piedi nudi (visto che per entrare a Schwelle7 come spesso accade nelle case in Germania, bisognava togliersi le scarpe e lasciarle all’ingresso). La superficie di quel tetto era quasi morbida, pastosa al contatto, e restituiva una piacevole sensazione di calore ai piedi, e ne dedussi che vi aveva battuto il sole nelle ore precedenti. Non c’era balaustra alcuna, però, per cui bisognava stare attenti a non sporgersi troppo dal limite del tetto, anche se c’erano alcune persone sedute proprio lì, su quel bordo, con le gambe ciondolanti verso il basso. Ero senza parole, estasiata. Incontrai Felix di lì a poco, ci salutammo, e gli dissi che mi ero trasferita a Berlino per rimanerci, e che avrei avuto piacere nel frequentare Schwelle7. Mi diede il benvenuto nella sua casa, poi mi mise al corrente di qualcosa che in realtà sapevo già, ovvero che quelli sarebbero stati gli ultimi mesi di vita di quel posto, visto che di lì a qualche mese avrebbe dovuto chiudere i battenti. Il proprietario dell’immobile non aveva potuto rinnovare il contratto d’affitto alle stesse condizioni con le quali era stato redatto e portato avanti negli anni precedenti, a causa della gentrification dilagante che si stava allargando a macchia d’olio, oramai, in città. Nel frattempo le persone, come me, arrivate per il workshop che si sarebbe tenuto quel giorno, cominciavano a radunarsi nella grande sala. S’era fatto tempo di cominciare.