Con gli occhi del Bondage

Una breve storia su come sono arrivata al Bondage

Il Bondage è stata la pratica che sin dall’inizio mi ha maggiormente richiamata verso il mondo del BDSM. Per qualche motivo ne ero stata attratta fin dall’adolescenza, pur non avendo mai né visto né una gran quantità di immagini ad esso relative né avendo mai avuto l’occasione di approfondire la sua simbologia e la sua storia, né tantomeno di provarlo. Ne ero affascinata nel mio immaginario di ragazza nel pieno dell’esplosione puberale, quando l’energia sessuale si manifesta in maniera forte, talora prepotente e le fantasie ad essa correlate si cominciano a fare largo nella mente, e nel corpo. Tuttavia in quegli anni non avevo una vera e propria vita di relazione, tantomeno avevo avuto modo di cominciare a sperimentare attorno alla sessualità. Ero ritrosa, vergognosa, il mio corpo era incapace di muoversi liberamente,  era appesantito, infelice di esistere, sentivo di stagnare in una stasi emozionale, fisica ed energetica che mai ero riuscita a capire, né tantomeno ad accettare. Desideravo ardentemente di rompere con forza quella gabbia, ma trovare la via adatta per uscire da quella sensazione di prigionia era come dover trovare una via di fuga da un labirinto. Ricordo, tanto per citarne alcuni, i vani e frustranti tentativi di mettermi a dieta, l’iscrizione alla squadra locale di pallavolo nella speranza di riuscire, tramite uno sport, a fare “del movimento” (progetto che naturalmente non andò a buon fine), la frequentazione di corsi in palestra durante i quali mi sentivo più un pesce fuor d’acqua che altro ed il progressivo incedere incontrollato della volontà di isolarmi sempre di più dal resto del mondo. Fui fortunata tuttavia, perché più tardi, sulla mia strada, ebbi la possibilità di  approcciare degli strumenti fondamentali, per la mia “liberazione” quali lo Shiatsu e l’Aikido (entrambe discipline giapponesi, lo Shiatsu è una particolare tecnica di massaggio che usa le pressioni e l’Aikido un’arte marziale non competitiva) che mi permisero di iniziare il processo di demolizione-ricostruzione della mia persona, ed il processo fu lungo e doloroso. Iniziai il primo corso di Shiatsu che avevo circa 25 anni, e mi resi conto immediatamente che esisteva in intero mondo riguardante il corpo e l’interazione con gli altri che mai avevo avuto modo neanche di immaginare. Venivo toccata per la prima volta con cura, amore, e attenzione, anche se le parti dolenti del corpo erano molte, cosi come le difficoltà nell’apprendimento e l’esecuzione delle tecniche. Ricordo l’enorme difficoltà che trovai sin dall’inizio semplicemente nel piegare le gambe o sedere in maniera naturale a terra, senza contare un dolore persistente al ginocchio destro che mi portavo dietro dagli anni dell’adolescenza e la schiena oramai irrigidita a causa della quale stare in piedi per più di un quarto d’ora era motivo di fitte lancinanti in tutto il corpo. A quel tempo fumavo anche da molti anni ed avevo una capacità polmonare risicata e qualsiasi esercizio che fosse stato appena un po’ più aerobico mi dava immediatamente un senso di profondo soffocamento. Ma lo Shiatsu mi diede immediatamente sollievo da quell’agonia, e capii subito che quella era la via da percorrere. Dopo circa un paio di anni dall’inizio del corso di Shiatsu iniziai a frequentare un corso di Aikido, e la sfida si fece più grande, perché io, il corpo, non sapevo assolutamente muoverlo. Ci vollero anni per invertire la tendenza, per rendere fluide le articolazioni, per integrare i nuovi schemi delle forme nel corpo-mente. Ebbi anche svariati incidenti durante la pratica ma stranamente, realizzai in seguito, era come se fossero stati necessari affinché tutto il resto si sbloccasse. Andai avanti comunque, a discapito delle difficoltà, e conseguii la cintura nera di Aikido nel 2006. A quel tempo il mio corpo era già cambiato, avevo smesso di fumare, avevo acquisito elasticità dei tessuti e delle articolazioni, non avevo la sensazione di soffocare dopo aver salito 10 scalini, e potevo allacciarmi le scarpe stando seduta senza trattenere il fiato per arrivare a prendere i piedi in mano. Ma qualcosa mancava ancora, sentivo che volevo mettermi ulteriormente alla prova, sentivo di avere ancora delle energie da spendere, da usare, da purificare, se mi si permette il termine, ed avevo imparato sulla mia pelle che il dolore ne brucia un sacco di energie, per cui mi sentivo attirata da qualche possibile pratica che mi avrebbe permesso di continuare nel processo, in maniera più controllata. Cominciai allora ad interessarmi intuitivamente al Bondage, al tempo avevo poco più che trent’anni, pensai che la sensazione di costrizione data dalle corde e la loro pressione poteva essere quello che stavo cercando. Mi informai sulle possibili persone da contattare per una sessione, scrissi qualche mail ma non trovai alcun riscontro effettivo, trovare un rigger nel centro Italia sembrava una possibilità remota ed il fantasma di essere comunque non adatta a quel tipo di pratica (vuoi per quello che pensavo a proposito del mio peso e della forma del mio corpo, vuoi per l’inesperienza che credevo essere un grande ostacolo) cominciò a farsi largo nelle mie fantasie, tanto che dopo un po’ lasciai perdere. Ci volle ancora qualche anno prima che il destino mise sui miei passi l’incontro con quest’arte, che avvenne in maniera del tutto casuale. Fu durante un pomeriggio che stavo passando con il fidanzato che avevo allora nella sua camera a Pisa, eravamo a letto e gli dissi, in maniera del tutto naturale, se avesse mai potuto avere piacere nel cominciare a fare esperienza di Bondage con me. Mi rispose che non era interessato al Bondage, ma dopo qualche secondo mi disse anche di avere un caro amico a Roma che era un insegnante, che aveva scritto anche un libro sull’argomento e che avrei potuto contattarlo per saperne di più. Lo contattai in effetti, gli dissi che venivo dal mondo dello Shiatsu e dell’Aikido (entrambe discipline provenienti dal Giappone come anche una consistente parte del Bondage, meglio descritta come Shibari o Kinbaku) e che avrei avuto interesse nell’incontrarlo per una sessione. Offrii in cambio una seduta di Shiatsu. Lui si rivelò molto cordiale e bendisposto e mi invitò nella sua casa romana per l’incontro. Ci vedemmo in un giorno d’Agosto, ricordo che ero molto, molto emozionata, mi aspettavo tanto da quell’incontro, le immagini mentali che si erano andate creando negli anni a proposito del Bondage stavano per essere rese reali, stavano per materializzarsi nel corpo. Quando arrivai a destinazione entrai nell’appartamento dell’amico del mio fidanzato, e feci le dovute presentazioni con quell’uomo. Aveva più o meno la mia stesa età, forse, pensando alla figura di un mentore, mi immaginavo che avrei avuto a che fare con un uomo più grande. Appena dopo esserci presentati quell’uomo si diresse verso una porta che dava sul corridoio, e senza dirmi nulla, entrò. Io feci qualche passo fino a giungere sulla soglia di quella porta, e lui, vedendomi arrivare, mi fece cenno di entrare. Quella che mi trovai di fronte era una piccola stanza, stretta e con un’unica finestra. La prima cosa che notai fu un materasso appoggiato verticalmente al muro alla mia sinistra, ricoperto di un lenzuolo scuro, ai piedi del quale giaceva una ragazza che avrà avuto poco più che vent’anni, con indosso una normalissima t-shirt ed una gonna a fiorellini. Al centro della stanza c’era una struttura cubica fatta di tubi innocenti, che immaginai essere usata per le sospensioni; il mio sguardo incontrò poi un piccolo sofà all’angolo opposto ed un piccolo armadio appena dopo la porta, a sinistra. Non ricevetti istruzioni alcune su cosa fare. Rimasi in piedi ad osservare la scena, quell’uomo sembrava destinare tutte le sue attenzioni all’interazione con quella ragazza. Sembrava che la stesse rimproverando per non aver adempiuto a dei doveri, minacciandola di punirla a breve. Lei era a terra, seduta, aveva un’aria vagamente da collegiale di film porno fatti in casa e non aveva sguardi che per quell’uomo. Quella che seguì era una scena completamente distaccata dal fatto che io fossi lì, non c’entrava nulla, non faceva parte assolutamente dell’idea che mi ero fatta di come dovesse essere la mia prima sessione di Bondage. Sembrava più una manifestazione di potere, come se quell’uomo ci tenesse a farmi vedere di cosa era capace. Ma per me quella scena era più che altro frustrante, non ero affatto interessata ad assistervi, era un altro il motivo per cui avevo affrontato quel viaggio. Quello a cui assistetti poi fu una buona quantità di sculacciate date dall’uomo alla ragazza, una punizione per non aver fatto quello che lui le aveva chiesto di fare nei giorni precedenti. Non era esattamente la sessione di Bondage che sognavo da tempo di avere per me, devo ammetterlo, era come se in quel momento non avessi l’attenzione che speravo di avere e la mia presenza in quella stanza sembrava che fosse addirittura di troppo. Finito di farsi sculacciare, quella ragazza si rivestì in fretta ed usci dalla stanza con le mani dietro la schiena e lo sguardo basso, con un mezzo sorriso sulle labbra. Sembrò quindi che fosse arrivato il mio turno. Poche furono le parole spese dal Master del mio ingresso nel mondo del Bondage su quello che sarebbe accaduto a quel punto, ricordo che prese delle corde da una sacca lasciata lì a terra alla quale non avevo prestato attenzione fino ad allora, si diresse verso di me e mi chiese di alzare le braccia, cominciando a passarmele attorno al busto. Effettuò solo pochi passaggi, e percepii già che lui era distante. Sembrava che stesse eseguendo un lavoro di routine, non personale abbastanza da farmi sentire che c’era l’intenzione di scoprire qualcosa di me, di portare alla luce quegli aspetti sepolti che aspettavano così tanto di salire in superficie. Ma del resto, la prima volta non è mai come te l’aspetti. Comunque la sensazione che le corde esercitavano sul mio corpo si era fatta interessante, il respiro era diverso, sentivo che la cassa toracica non si espandeva poi più di tanto e che la pressione esercitata mi dava il senso di confine, di contenimento, mi dava la posizione del limite del mio corpo nello spazio. Fu allora che quell’uomo mi chiese, con fare piuttosto secco, se volessi provare la sospensione, ed io, traballante e col fiato corto, gli risposi, magari ingenuamente, di si. Ero ancora in piedi, e quell’uomo legò una corda all’imbracatura che aveva realizzato attorno al mio torace e l’attaccò ad uno dei tubi innocenti posizionati in alto, in quella struttura per le sospensioni. La prima sospensione parziale avvenne quando quell’uomo sollevò una delle mie gambe fissandola in alto, all’altezza del bacino più o meno, invitandomi a lasciarmi “cadere” (spostare il baricentro sarebbe più esatto) da un lato. Lo feci e fu incredibile sentire il mio corpo lottare, mi trovai ad oscillare per mantenere l’equilibrio ma le corde, ad ogni più piccolo movimento, infliggevano una discreta quantità di dolore che rendeva i tentativi ardui e maldestri. Quella posizione forzata metteva in discussione tutte le regole alle quali il mio corpo era abituato a sottostare fino ad allora, e la ridotta capacità di movimento e di respiro rendevano l’esperienza davvero particolare ma difficile da sostenere. Rimasi in bilico in punta di piede per qualche istante, cercai di far trovare al corpo il modo di accettare la inevitabile scomodità e di respirare nel frattempo, quando mi venne chiesto se fossi pronta a far si che anche l’altra gamba venisse sollevata. Risposi di si, magari un cambio di posizione avrebbe potuto ristabilire un nuovo ordine ed un nuovo equilibrio e mitigare quella sofferenza quasi acuta. Così persi completamente contatto con il pavimento e la legge di gravità si accanì tutta sul mio corpo nei punti dove le corde erano state fatte passare per sostenere il mio peso, ed il dolore e la sensazione di disagio mi fecero quasi trasalire. Rimasi in sospensione totale non più di pochissimi minuti, dopodiché fu insopportabile per me resistere ed accettare tutto l’insieme delle cose, e chiesi di essere riportata a terra e slegata. Prima venne slegato un piede, poi l’altro, poi il resto. Toccare di nuovo terra fu un’emozione profonda, ma la sensazione che è rimasta letteralmente stampata nella mia memoria è stata quella di sentire come la cassa toracica tornava ad espandersi dopo che le corde erano state rimosse e l’ampiezza che può raggiungere un respiro dopo che è stato costretto. È stato come rivivere l’esperienza del primo respiro di quando si viene al mondo misto ad un grande senso di liberazione, se fino a qualche minuto prima stavo volando in sospensione sostenuta dalle corde, quel momento successivo durante lo scioglimento dei nodi mi dava la sensazione di volare di nuovo, stavolta per la leggerezza che percepivo nel mio corpo. Rimasi in quello stato ancora per un po’, durante il quale non capivo ancora se l’esperienza mi fosse piaciuta o meno, di sicuro non era stata il tipo di esperienza che cercavo, poi ricambiai il favore con una seduta di Shiatsu. Una volta finito il massaggio, ringraziai, e lasciai l’appartamento per tornarmene in stazione, prendere il treno e tornare a casa. Non credo che le due visioni della stessa storia di quel giorno collimassero in realtà. Da un lato c’ero io, alla ricerca di corrispondenze con l’esterno e con qualcuno che sapesse leggermi e guidarmi in un’esperienza il più personale possibile, dall’altra parte un uomo che eseguiva una tecnica che sembrava ripetesse in maniera standardizzata, la cui attenzione sembrava essere destinata al ripetere una sequenza che di personale aveva ben poco. Dall’incontro di queste due diverse realtà nacque in me una serie di domande che, probabilmente, mi hanno messa ancor più sulla strada della ricerca, e da quel giorno le cose non sono mai state più le stesse. C’è comunque voluto del tempo prima che potessi approcciare nuovamente le corde. Tornai a Roma qualche mese dopo per frequentare la mia prima lezione di Bondage tenuta proprio da quell’uomo dal quale mi ero recata per la prima volta assieme ad una donna, anch’essa rigger, che in gergo sta a significare colui o colei che lega. La lezione durò tutta la giornata della domenica, dalla mattina al pomeriggio, ci venne raccontata brevemente la storia di come il Bondage giapponese era arrivato nel mondo occidentale attraverso i soldati in missione nel paese del sol levante durante la seconda guerra mondiale che riportarono sia esperienze personali sia materiale fotografico, e facemmo delle piccole esperienze di legature di base con gli altri partecipanti al corso. Dopo qualche mese mi recai a Bologna per un altro corso con un altro insegnante che avevo trovato nel frattempo nelle mie ricerche nel panorama, ancora abbastanza sconosciuto per me, del mondo del Bondage italiano. A quel punto, però, il vero ostacolo era la pratica, non sapevo come cercare  nella mia zona persone disposte a farsi legare da me, che stavo comunque ancora imparando, per cui misi da parte quella minima conoscenza acquisita e mi dedicai ancora una volta a cercare di capire quale potesse essere stato il passo successivo da fare, perché sapevo che qualcosa stava cambiando, che qualcosa doveva succedere, solo che non era ancora chiaro cosa fosse. Ho poi dovuto attendere di arrivare a Berlino per proseguire con lo studio e la pratica, ma questa città si è rivelata immediatamente ricca di opportunità e di possibilità di crescita. Ho iniziato a frequentare tutti i workshop che ho potuto, le lezioni speciali, gli incontri domenicali a casa di amici con la stessa passione, e questo ha attirato sempre più belle persone nella mia vita, persone aperte, con una visione a riguardo della sessualità multisfaccettata ma mai indignata, mai ritrosa né bigotta, piuttosto orientata alla sperimentazione ed alla condivisione. Alcuni dei momenti migliori che ho vissuto finora nella mia esperienza con il Bondage (o Shibari, o Kinbaku, tanto ognuno poi lo chiama come gli pare ma alla fine sembra che ci capiamo lo stesso) sono stati durante alcune serate aperte di pratica, chiamate “Bondage Jam”. Un gruppo di persone provenienti da Schwelle7 infatti, dopo la sua chiusura, aveva cercato di far rimanere attiva quell’attività, iniziata anni prima proprio in quel posto. E lì ho incontrato altri angeli in cerca delle loro ali, altre sirene bramose di libertà ma anche agnelli sacrificali desiderosi solo di lasciar uscire le loro grida di sofferenza attraverso quelle corde e la loro pressione sulla pelle, spesso nuda. Queste che seguono sono le parole di una donna giapponese che ho incontrato lì e con la quale ho condiviso molte sessioni, dopo il nostro primo incontro:

“Yesterday, I went to the jam and I was tied up by a woman for the first time.

It was very nice and new for me.

Very soft, warm, gentle, delicate….

I was healed.

And when she gave me pain, she was ruthless.

To my surprise, I was aroused.

It was different from when I am with man.

More quiet, calm, secure, and long.

It was like the sound of the waves.

Very special experience.

Thank you very much A.”


(Ieri sono andata alla jam e sono stata legata per la prima volta da una donna.

È stato molto bello e nuovo per me.

Molto soft, caldo, gentile, delicato…

Mi sono sentita guarita.

E quando lei mi ha fatto provare dolore, è stata spietata.

Mi sono ritrovata a sorpresa eccitata.

È stato differente da quando sono con un uomo.

Più tranquillo, calmo, sicuro e più a lungo.

È stato come il suono delle onde.

Un’esperienza molto speciale.

Grazie infinite A.)

“Il suono delle onde”.

Foto: Velvet Susi – https://www.instagram.com/velvet.susi/