Amante si, ma con rispetto

“Chi è senza amante scagli la prima pietra” mi verrebbe da dire guardandomi un attimo attorno. Ma almeno, se proprio mi trovassi nella condizione di dover rivestire il ruolo di amante, vorrei sentirmi trattata con rispetto. La scorsa estate ho cominciato a frequentare da un uomo appartenente alla cerchia dei frequentatori di Schwelle7. Cominciammo a parlare via chat, scoprimmo che avevamo alcune cose in comune, tra le quali l’Aikido, anche lui era un praticante da molti anni, mi disse, cintura nera 1° Dan, esattamente come me. Gli chiesi informazioni sui Dojo in città e lui me ne diede alcune, invitandomi poi fuori per un caffè. Aggiunse anche che avrebbe avuto piacere nel condurmi, dopo aver preso il caffè, a visitare un locale BDSM non lontano dalla caffetteria designata per l’incontro.  Non aggiunse altro. C’eravamo visti qualche volta in alcuni workshop e performance al festival Xplore (il festival sul BDSM creato da Felix Ruckert, il creatore di Schwelle7  Berlin), fu lui a contattarmi via Facebook, e poche erano le informazioni che riuscii a reperire attraverso il social network: profilo non pubblico, nessuna foto, solo l’informazione “sposato”. Il giorno designato per l’appuntamento ci incontrammo direttamente davanti alla caffetteria. Lo vidi arrivare tra i mille volti sconosciuti di una strada centrale di Berlino-Kreutzberg intorno alle sei di pomeriggio di un lunedì qualsiasi di mezza estate; era un uomo piuttosto alto e snello, sicuramente over 50, niente di speciale addosso se non un paio di pantaloni neri, un anonimo golf scuro, sandali Birkenstock piuttosto consumati indossati naturalmente con un paio di calzettoni pesanti e mani in tasca, andatura spedita.  Ci presentammo in strada, poi entrammo e sedemmo all’interno del locale, precisamente trovammo posto su di un divanetto vintage rivestito di una stoffa broccata sulla tonalità del verde smeraldo. Ordinammo il caffè, nel frattempo parlammo dell’Aikido, di Xplore, dell’Italia, parlammo di musica visto che sotto il maglione scuro e sotto un paio di bretelle nere indossava una t-shirt di un gruppo metal tedesco, a me sconosciuto naturalmente. Rimanemmo a scambiarci parole e cortesie per una mezzora circa, poi lentamente decidemmo di levare le tende e ci spostammo a piedi verso il locale, il quale era in realtà davvero poco distante. Conoscevo già quel posto, era stato il primo uomo col quale ero uscita a Berlino a portarmici, lo riconobbi subito. “Quälgeist” il nome, un gay club SM a Meringdamm che di tanto in tanto è aperto a tutti i generi durante party dedicati e occasioni speciali. 200 mq di Dungeon suddivisi in vari livelli, con moltissimi “attrezzi” con cui giocare, sale per torture, gabbie, ed una saletta semi-privata senza porta ma con una tenda che separa lo spazio pubblico da quello privato, con al suo interno un grande materasso in finta pelle nera sopraelevato, a mo’ di letto queen size spartano ed austero. Inutile dire che finimmo proprio lì, non faccio mistero riguardo al risvolto della serata. Mi piacque il modo in cui approcciò il mio corpo e il mio desiderio, pensai che far parte di un gruppo sex-positive incentrato su una certa consapevolezza a proposito della sessualità aveva i suoi vantaggi, anche se in quello che successe tra noi quel giorno (ma scoprii poi che l’inclinazione era la stessa anche per il resto dei nostri incontri) di BDSM sembrava esserci davvero poco, si era trattato di una stupenda e profonda relazione sessuale durante la quale lo scambio energetico ed emozionale sprigionato fu davvero grande e piuttosto coinvolgente. Fummo immediatamente rapiti da un’onda incontrollabile di desiderio, per cui decidemmo che ci saremmo rivisti a breve. Lui veniva a Berlino soltanto una volta alla settimana, abitava a circa un centinaio di chilometri ma la madre anziana era rimasta nella loro vecchia casa di famiglia in città, in più aveva un orto a cui badare con un piccolo casottino-rimessa, per cui destinava la sua presenza di quei giorni a mantenere attiva la sua connessione con le sue radici, in tutti i sensi. Questo accadeva che era ancora estate, e ci incontravamo proprio lì nel suo casottino; a me faceva impazzire il modo in cui era in grado di leggere il mio corpo, di seguirne il ritmo, le ondate, lui sembrava felice come un bambino, non facevamo in tempo a salutarci che poco dopo mi chiedeva via messaggio quando ci saremmo rivisti ancora, mi mandava canzoni, frasi e citazioni ad effetto.  Mi portò dei fiori per il mio compleanno, sul biglietto c’era una dedica che mai nessuno m’aveva fatta, che recitava più o meno così: -“ Che bello che sei venuta al mondo” -; mi dedicò completamente la giornata dicendo di voler esaudire ogni mio desiderio, e così fu. Nonostante tutto però non mi disse mai spontaneamente nulla a proposito della sua situazione sentimentale. Secondo il mio punto di vista, dato che provenivamo entrambi da un background in cui la sessualità era vissuta serenamente ed apertamente pensai che l’approfondimento dell’argomento non fosse poi di primaria importanza e che fosse scontata una certa apertura mentale ed emozionale nel gestire un rapporto del genere, credevo fosse un uomo maturo nel vero senso della parola. Come da copione poi ad un certo punto mi disse che mi amava, me lo disse e fece capire in molti modi, mi disse anche che era coinvolto nel profondo, che questa esperienza lo aveva toccato intimamente. C’era però poi questo suo modus operandi secondo il quale, dopo aver condiviso l’inizio della settimana con me, spariva per giorni, tornava nella sua casa fuori città, nella quale, a detta sua, era talmente occupato da non avere tempo da passare al computer per tenerci sempre in contatto. Un giorno presi coraggio e gli chiesi di parlarmi della sua situazione sentimentale. Molto candidamente mi rispose che era sposato per la terza volta, che la sua attuale moglie era al corrente delle sue attività all’interno del mondo del BDSM e che non le interessava farne parte, visto che, da ex sessantottina, di esperienze di amore libero e quant’altro ne aveva avuto già abbastanza in passato.  Con una dichiarazione del genere cosa potevo pensare?  Che quanto stavamo facendo non era proibito, mi sembrava di avere un lasciapassare abbastanza lecito per non sentirmi in colpa nel frequentare un uomo impegnato, per cui le cose continuarono ad andare avanti. Cominciai però a notare, dopo un paio di mesi, un certo cambio di atteggiamento nei mei confronti durante i nostri rapporti, se prima era sempre molto focalizzato ed impegnato nell’appagarmi e nell’ascoltarmi con il tempo lo sentii molto più incline a soddisfare prima i suoi desideri, senza preoccuparsi poi più tanto dei miei.  Per me quell’unico giorno a settimana nel quale ci potevamo vedere poi era prezioso, era qualcosa che aspettavo con impazienza, per lui cominciò a sembrare  non così primaria importanza, cominciò a dirmi che avrebbe voluto usare quell’unico giorno a Berlino anche per stare con i suoi amici, che potevamo vederci anche solo un paio d’ore prima che lui partisse, e che sarebbe stato bello lo stesso.  Questo scatenò una certa frustrazione in me, tanto da cominciare ad innervosirmi, chiedere spiegazioni, pretendere risposte, che puntualmente non arrivarono. Quello che invece arrivò fu una doccia gelata, un monito al fatto che stessi diventando troppo emotiva e che non potevo aspettarmi niente di più di quello che lui mi stava offrendo. Ci tenne precisare che non avrebbe mai lasciato la moglie, chi glielo avrebbe fatto fare mi disse?  D’altronde lei era la proprietaria della casa nella quale abitavano, nonché di non so quanti ettari di terreni attorno, era l’ennesima speranza, dopo altri due matrimoni falliti, di rifarsi, a 55 anni suonati, un’altra vita con qualcuno attorno con cui invecchiare, io ero solo in qualcosa di bello da prendere sul momento, una fonte di gioia da usare, secondo la mia visione cinica, come supporto ad una vita oramai isolata dal resto vissuta sull’onda della necessità di trovare supporto logistico con l’avanzare degli anni, ma c’è di bello che quella di lasciare la moglie era una richiesta che nessuno gli aveva mai fatto, mai avrei immaginato di averlo voluto o accettato come compagno di vita.  Per me l’essere fonte di gioia reciproca andava più che bene, ma non potevo sopportare l’idea che quello che stava succedendo potesse essere rimpiazzato da qualsiasi altro avvenimento, se era così importante come diceva e come mi ripeteva incessantemente non vedevo il motivo per relegarlo ad un paio d’ore rubate al fugace tempo prima della sua partenza. Decisi di non volerlo vedere più, ci scrivemmo una serie di messaggi piuttosto densi e vischiosi nei quali cercai di fargli capire che per me quella formula lì non poteva funzionare, mi stava bene che fosse impegnato e quant’altro, non volevo niente di più ma non volevo sentirmi considerata al margine, o un gettone bonus da utilizzare nei momenti di piacere per poi essere lasciata in disparte a piacimento.  Ci vedemmo invece un’ultima volta, tra i vari struggimenti nati da quello scambio di messaggi, un po’ perché sembrava davvero brutto terminare una storia via telefono un po’ per sincerarmi (almeno così la vedevo io) di non aver rimpianti per la decisione presa, e un po’ anche perché sotto sotto comunque a quella storia ci tenevo, e vederla sfumare via in maniera così sciocca mi pesava. Arrivai al casottino nel quale eravamo soliti vederci un po’ in ritardo quella sera, aprii il piccolo cancello che dava sulla prima porzione di orto-giardino (a dire la verità tenuto in maniera piuttosto caotica) che stava appena facendo buio, appena imboccato lo stretto sentiero tra i primi alberi trovai il mio partner lì in piedi ad aspettarmi, nella penombra. Mi accolse con un grande abbraccio, bello, intimo, profondo, come forse non aveva mai fatto prima. Rimasi stupita, pensai ingenuamente che qualcosa in lui stava cambiando, che magari stava cercando di comunicarmi qualcosa senza dover ricorrere all’uso delle parole.  Entrammo nel casottino, fuori oltre che buio cominciava a fare anche freddo, eravamo già agli inizio di Ottobre. C’era una stufa accesa dentro, una stufa a gas di quelle che si lasciano sempre scappare una sottile scia di odore, una di quelle stufe che ti chiedi sempre se sia una buona idea tenere in casa oppure no, ma almeno quel giorno la temperatura all’interno del piccolo edificio rudimentale era pressoché decente, fosse sopraggiunta Signora Morte almeno ci avrebbe trovati ancora caldi. Ci sedemmo sul letto, mangiammo qualcosa, io avevo portato del pane, salame, un po’ di formaggio, parlammo un po’ come se nulla fosse accaduto, lui mi disse che era stato via alcuni giorni per partecipare ad un seminario sulla gestione delle emozioni, che si sentiva sereno, finalmente bilanciato.  Sembrava che stesse veramente elaborando l’accaduto, che volesse andare a fondo in ciò che provava, e mi sembrava sincero. Finimmo inevitabilmente col cominciare di nuovo il nostro gioco fatto di sensazioni fisiche, di contatto, di vicinanza, sfregamenti e morsi, facemmo o perlomeno iniziammo a fare sesso quando ad un tratto lui si ritrasse spaventato, in seguito ad una penetrazione stavo perdendo sangue, ma dal canto mio non avevo avvertito il minimo dolore o sensazione sgradevole. E no, non ero più vergine da molto tempo. Vidi lo sgomento sul suo volto, si ritrasse di scatto, saltò giù dal letto correndo a disinfettarsi pur avendo ancora indosso il preservativo, lo vidi impallidire e preoccuparsi nel giro di venti secondi, e non sembrava minimamente turbato o preso dal fatto che potessi essere in difficoltà o aver bisogno di aiuto. Io rimasi lì, paralizzata, non sapendo assolutamente cosa mi stesse accadendo né cosa potessi fare, l’unica cosa sensata che mi passò per la testa fu quella di prendere un fazzoletto e tentare di arginare i danni. La perdita di sangue cessò poco dopo, ancora nessun dolore, nessuna sensazione fisica sgradevole, solo un grande spavento e la sensazione che il gelo era calato tra noi. Lui tornò a letto e si sdraiò dandomi le spalle, spegnendo la luce e rimboccandosi le coperte.  Io tremavo ancora per l’agitazione, mi sembrava surreale che lui, l’uomo col quale stavo condividendo la gioia (si, seppur momentanea) di una sessualità profonda e sensuale non mi degnasse neanche di un “come stai?” o di un “va tutto bene?” dopo aver visto cosa stava accadendo.  Magari avrei potuto aver bisogno di aiuto, magari avrei avuto bisogno di farmi vedere da un dottore, ma lui mi diede le spalle, mi disse che era ora di dormire e che avrei fatto meglio a dormire anche io. L’agitazione e la sensazione di distanza da quell’uomo si stavano rapidamente innalzando in maniera esponenziale in me, tanto che mi alzai dal letto, cercai i miei vestiti nel semi-buio della stanza, presi con foga il mio zaino e la borsa, e me ne andai sbattendo la porta. Avrei potuto sanguinare ancora, sarei potuta svenire, potevo perdermi per strada o sarebbe potuta accadere qualsiasi altra cosa, ma non sarei mai più rimasta nello stesso posto di quell’uomo per nessuna ragione al mondo. Tornai a casa con la metropolitana, fortunatamente non era ancora troppo tardi per prenderne una, l’agitazione era altissima, lo sdegno anche. Giurai a me stessa di non volermi mai più trovare in una situazione del genere. Il giorno seguente non ricevetti nessun messaggio, presi io l’iniziativa di scrivergli un’ultima volta, la rabbia che era esplosa dentro di me era davvero troppa per poter essere contenuta. Lui mi rispose che a malincuore si sentiva costretto a dover prendere la decisione di non vederci più, ma poi (il che mi rese incredula e anche piuttosto basita) mi disse che volendo potevamo continuare ad incontrarci magari per andare al cinema, o a mangiare qualcosa assieme. L’ho maledetto più e più volte, non ricordo neanche cosa gli scrissi di preciso, fatto sta che tagliai tutti i rapporti, cancellai numero di telefono, contatto Facebook, chat, foto, tutto insomma. I mesi che seguirono furono difficili, sentivo che la mia autostima era stata intaccata in un momento in cui stavo invece crescendo. Lo rividi involontariamente d’inverno dopo mesi e mesi, nello stesso locale nel quale eravamo andati assieme, il Quälgeist a Meringdamm, fu un incontro che avvenne di sfuggita mentre mi stavo cambiando d’abito nel piccolo camerino (senza porta) poco dopo l’ingresso, lui stava uscendo, farfugliò qualcosa, io abbozzai una piccola smorfia e mi girai dall’altra parte.  Mi sembrò che fosse in compagnia di una donna, ma altre persone stavano uscendo assieme a lui per cui non capii immediatamente. Ma capii meglio la settimana successiva, si ripresentò nello stesso locale in compagnia di una ragazza forse anche più giovane di me, sulla trentacinquina al massimo, dall’aria piuttosto sprovveduta e di poche pretese, che sembrava seguirlo a mo’ di cagnolina. Si fermarono a guardarmi mentre stavo giocando con altri due uomini (di cui almeno uno sapevo essere di sua conoscenza) nella saletta semi-privata del locale, dopo aver impudentemente scostato la tenda che separa lo spazio privato da quello pubblico per sbirciare voyeuristicamente dentro.  O magari stava semplicemente cercando di capire se avessero potuto usare a loro volta la stanza. Si fermarono sulla soglia alcuni minuti, io cercai solo di rimanere focalizzata su quello che stavo facendo, escludendolo dalla visuale ma anche escludendo il pensiero nella mia mente della sua presenza in quel posto. Se ne andarono senza che me ne accorgessi in effetti, ma lo rividi successivamente al bar del locale, seduto in un angolo circondato da un’aura pesante e grigia, posizionato lontano dalla sua accompagnatrice che sembrava invece voler elemosinare almeno un briciolo di attenzione da parte sua tenendo distrattamente un frustino in mano, nella speranza magari che venisse usato. Si alzò per andarsene e venne verso di me, io ero tranquillamente seduta con i due uomini di cui sopra su uno dei divani del bar, quello vicino all’uscita per la precisione, prese uno sgabello e si sedette anche lui a meno di un metro, guardandosi attorno per cercare non so bene cosa, se la sua nuova compagna che al momento non era al bar con lui, o una scusa per potermi dire qualcosa, o un pretesto per salutare almeno i miei accompagnatori di quella sera. Poi si alzò, nel mentre disse qualcosa ed io giuro di averlo sentito chiamare il mio nome, girai la testa di rimando e lui era lì, in piedi, che mi guardava. Incrociai il suo sguardo, uno sguardo scrutatore, insicuro, a tratti vuoto, di sicuro infelice. Non fui in grado di dire neanche una parola, tornai a chinarmi verso il tavolo per prendere il bicchiere di vino che stavo bevendo fino a poco prima per lasciare scivolare via il tutto. “Scivola, scivola vai via, via da me” canta Capossela di sottofondo, nella mia mente, ma stavolta soprattutto nel mio cuore.

Foto Andrea Parlati – https://andreaparlati.com/